Pescare troppo costa molto. Anzi moltissimo, addirittura più del più grande disastro ambientale della storia, la marea nera del Golfo del Messico. Nel 2009, infatti, i pescatori americani hanno perso 162.4 milioni di dollari a causa dell’overfishing, la pesca eccessiva. E’ quanto risulta da un report della Pew Environment Group, un’organizzazione no profit statunitense che ha calcolato le perdite di guadagni dovute alla pesca sconsiderata.

Per fare un paragone, le perdite per il settore della pesca sono quattro volte superiori a quelle causate dal disastro petrolifero che ha funestato il Golfo nel Messico nel 2010. L’incidente della piattaforma petrolifera della British Petroleum, nonostante abbia causato la più grande fuoriuscita di petrolio di tutti i tempi, provocato danni al settore della pesca per “appena” 38 milioni di dollari. Nulla rispetto a quelli causati dall’overfishing. Il report, commissionato dalla Pew e condotto dall’analista finanziario Ecotrust, ha concluso che le perdite per i pescatori del New England, nel Sud dell’Atlantico e nel Golfo del Messico sono dovute al pessimo stato degli stock del pescato, danneggiati da decenni di pesca sconsiderata e superiore alla sostenibilità ambientale. Il report fornisce anche un’altra stima meno conservativa: 222.5 milioni di dollari.

Nelle regioni prese in considerazione, solo il 25 per cento circa del guadagno potenziale del settore pesca è stato raggiunto. Il report, che è disponibile sul sito della Pew (The Hidden Cost of Overfishing to Commercial Fishing) fa anche l’elenco delle specie più minacciate dall’overfishing. I dati sui danni dovuti al petrolio BP in Luoisiana vengono invece da uno studio dell’anno scorso condotto dalla Greater New Orleans Inc.

Che l’overfishing faccia male all’ambiente non è cosa nuova. Ma che faccia così male alle tasche dei pescatori, che sia peggio del maggior disastro petrolifero della storia, non era immaginabile. Per equiparare le conseguenze negative dell’overfisching dovrebbero registrare danni ben tre piattaforme petrolifere. Industrie e intere comunità costiere dipendono dal pesce, e catturare istantaneamente la maggior parte delle risorse ittiche (causando a volte l’estinzione di alcune specie) scompensa gli equilibri biologici ed ecologici, e il mare non riesce più a recuperare. Molte specie non commestibili o che non ci piace mangiare finiscono nelle reti indiscriminatamente. Per questo motivo, molti governi nazionali stanno varando leggi e accordi con i pescatori che limitano e regolano il fenomeno della pesca eccessiva: lo stesso governo italiano ha dato lo stop alla pesca nell’Adriatico a partire dal 1 agosto fino al 30 settembre. Il provvedimento, che ha proprio lo scopo di ripopolare la zona dell’Adriatico, dando alle risorse ittiche qualche attimo di tregua, è stato sostenuto anche da Coldiretti: ” I primi sei mesi dell’anno hanno visto il dimezzamento del pescato in Italia, mentre sono aumentate le importazioni di pesce e preparazioni di pesce, che a gennaio-aprile hanno segnato un boom in valore (+16%). La ripartenza sarà graduale per evitare un depauperamento veloce delle risorse, vanificando gli effetti positivi della pausa sulla flotta nazionale”.

di Roberto Inchingolo www.pianetascienza.it

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