Caro Direttore, il Fatto Quotidiano, peraltro in buona compagnia, mi attribuisce la tattica o l’imbarazzo del silenzio sul caso Penati. Per la verità, sono stato il primo a parlarne giovedì scorso alla festa de l’Unità di Roma trasmessa in diretta da Rai News e da YouDem, intervistato da Corradino Mineo davanti a 4000 persone. Qualcuno evidentemente mancava e non ha letto i resoconti delle agenzie di stampa. Quello che ho detto e scritto in questi giorni mostra forse una sottovalutazione del problema? Spero di no.

Noi non possiamo certo dividere il mondo mettendo i cattivi da una parte e i buoni dall’altra. Con ben altri mezzi si provvederà a questo nella valle di Giosafat. A noi tocca inderogabilmente rispettare la magistratura, pretendere che le istituzioni non siano esposte nel disagio e chi è coinvolto faccia un passo indietro, affermare la parità dei cittadini davanti alla legge, applicare la presunzione di innocenza, anche quella di Penati che la rivendica con forza. A noi tocca produrre riforme che tolgano possibilità alla corruzione. A noi tocca allestire nei partiti meccanismi di garanzia e di limitazione del rischio. Sfido qualsiasi altro partito italiano a paragonarsi con gli istituti che il Partito democratico ha allestito e sta allestendo.

Fin dall’inizio il Pd ha sottoposto il proprio bilancio alla certificazione di una società esterna; abbiamo un codice etico giustamente più stringente di un normale percorso giudiziario; chiediamo agli amministratori eletti nelle nostre liste di firmare un codice di responsabilità. Ma su questo ho già detto e non voglio scrivere oltre. Rispondo piuttosto alla domanda di Travaglio, reiterata in questi anni da lui stesso, da Albertini e da qualche testata della destra e che allude a una suggestiva triangolazione Gavio-Bersani-Penati. Ho già detto in altre occasioni ciò che ribadisco qui. Il ministro delle Attività produttive conosce tutti i principali imprenditori italiani. Li conosce, non li sceglie. Gavio, segnalandomi la preoccupazione per un contenzioso aperto con la Provincia di Milano, mi disse di non conoscere il presidente appena insediato e mi chiese di favorire un incontro con Penati. Così feci, via telefono. Nell’evocare questo episodio si intende forse alludere a una combine poco chiara o addirittura a illeciti che mi coinvolgerebbero? Se è così (e lo dico in tutte le direzioni!) si illustri chiaro e tondo qual è la tesi e si abbia il coraggio di affrontare una sonora querela.

Mi dispiace inoltre dover constatare molte inesattezze nelle affermazioni di Travaglio su Pronzato. Ho saputo dai giornali che Pronzato era “un mio uomo”. Non è mai stato mio consigliere alle Attività produttive. Lo trovai 11 anni fa al ministero dei Trasporti come consigliere ministeriale, lo confermai assieme agli altri consiglieri per il solo anno in cui fui ministro. Divenne consigliere ENAC parecchi anni dopo. Non fu mai responsabile dei trasporti; ha avuto la responsabilità tecnica sul trasporto aereo nel dipartimento trasporti del Pd diretto da Matteo Mauri. Quella del doppio incarico è una cosa inopportuna, ne convengo, e da non ripetere in casi analoghi. Non nego dunque di aver ricavato insegnamenti dalla vicenda, ma vorrei che la vicenda fosse messa nelle giuste dimensioni. Non dovrebbe essere troppo disagevole peraltro considerare quali siano le persone che davvero ho motivato e promosso in lunghi anni di vita amministrativa. Ho la presunzione di credere che verrebbe riconosciuto che si tratta di gente in gamba e di gente sicuramente perbene. Travaglio infine si è chiesto nei giorni scorsi se io sia la persona giusta per rappresentare il centrosinistra. Non tocca certo a me dirlo. Per le sue valutazioni Travaglio provi comunque a tener conto di una cosa, per quanto ai suoi occhi possa risultare poco credibile: sono talmente provinciale e paesano da mettere il buon nome che ho ricevuto davanti a qualsiasi cosa e a qualsiasi ruolo.

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