Un reportage su Salon ci ha rammentato di esserci già occupate, qualche tempo fa, sul nostro blog di Amy Chua e della querelle tra rigidità e permissivismo nella didattica, sia a scuola che a casa (Come ti smonto la mamma-tigre).

Il libro di Amy Chua (la famosa tiger-mom sino-americana) ha suscitato un vespaio di polemiche negli Stati Uniti: bisogna o no aumentare il tasso di competitività tra i ragazzi? Bisogna sopperire alle carenze pedagogiche (gli insegnanti sono sviliti e stanchi) con un  intervento delle famiglie? Bisogna diventare una sorta di aguzzini per avere figli eccellenti a scuola per poi diventarlo nella vita?

Le figlie di Amy Chua, che è una docente di Diritto a Yale, sono bravissime a scuola e suonano ottimamente strumenti musicali: sono modelli da seguire, insomma. Ma il prezzo è alto: poco svago e un’adolescenza piena di regole, orari, doveri e sanzioni per gli insuccessi. Più in generale, tutti i figli di immigrati dall’Oriente sono sottoposti a continue pressioni per riscattarsi da un destino di sottomissione, nella Terra delle Opportunità.

Il libro di Amy Chua, di converso, in Oriente (Cina e Giappone, segnatamente) è servito a chiedersi se non sia il caso di allentare la pressione che il feroce sistema ‘scuola-famiglia’ impone ai ragazzi.

In questo ultimo periodo, poi, oltre a colpevolizzare le famiglie (e le madri in primis attraverso l’esempio ‘prussiano’ della Chua), i cosiddetti riformisti statunitensi puntano ad un intervento diretto sul sistema scolastico, che introdurrebbe ulteriori test cui sottoporre perfino i bimbi di quattro anni delle scuole materne. Una popolazione in stress da test, si potrebbe dire con facile calembour, in una Nazione in cui gli insegnanti, definiti parassiti (della serie: ‘chi non sa fare, insegna’), sono stati squalificati al punto di ritrovarsi sui gradini più bassi della considerazione sociale.

Poi, si legge della Finlandia, dove i principi pedagogici sono inversi. Nel paese delle foreste (negli Anni ’70 anonimo, prevalentemente agricolo ed economicamente insignificante), i docenti godono di ampie libertà didattiche e – se lo ritengono – possono insegnare la geometria nei boschi. Gli insegnanti vengono considerati degli ‘scienziati’ e le loro classi rappresentano i loro ‘laboratori’.

C’è anche un video in vendita (“The Finland Phenomenon”) che illustra il sistema scolastico finlandese e spiega quanto sia stato importante professionalizzare al massimo il lavoro dei docenti, tanto che la figura dell’insegnante in Finlandia è riverita, laddove negli Usa è denigrata.

Il fenomeno finlandese, spiega un certo Tony Wagner (autore del libro ‘The Global Achievement Gap“), consiste nell’abolire i test, ovvero le verifiche. In altre parole, occorre neutralizzare ogni incitamento alla competizione e al giudizio perché la differenza vincente è nella trasmissione della cultura (e del metodo di apprendimento) più che nel giudicare i ragazzi attraverso test, in cui risalta solo la capacità di memorizzare informazioni e nozioni ma non la capacità di ragionare sulle cose.

Tanto per evidenziare allegramente le differenze tra sistema finnico, statunitense ed italiano, noi, come al solito, avendo capito il trucco, li abbiamo furbescamente raggirati, i test. Vedi la storia degli invalsi.

Può sembrare un metodo rischioso quello di non effettuare verifiche e/o test (in America c’è il feticismo dei test), ma se proprio si deve fare una selezione, questa si fa sugli insegnanti. Solo un aspirante docente su dieci diventa titolare e si premia più la capacità di lavorare in gruppo che la conoscenza di teorie e storia della pedagogia. In Finlandia.

Sarebbe come uccidere un uomo morto, invece, confrontare il sistema italiano con quello finlandese. Non tanto sull’assegnare compiti a casa e durante le vacanze (in Finlandia praticamente non esistono i compiti a casa), quanto sulla bassissima considerazione che l’opinione pubblica italiana ha dei docenti (con esclusione di quelli delle scuole private e degli insegnanti di religione, viste le riserve economiche di cui godono a discapito di altri settori e categorie), continuamente sviliti nelle loro attività ed entusiasmi da una perseverante opera demolitrice del sistema scolastico. E pensare che il ‘modello Reggio’ è accademia nel mondo. Comunque, i docenti italiani trovano la loro consolazione perché peggio degli insegnanti (nella considerazione ministeriale e non solo, vedi Renzi) ci sono i dipendenti della pubblica amministrazione. I precari, poi, sono addirittura la ‘parte peggiore’.

Ci sarebbe da chiudere parafrasando Albertone: “…ma ve cianno mai mannato a… Helsinki?”.

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