E’ di quindici pagine il testo della relazione che il presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni ha presentato, questa mattina alle 8.30, ai membri delle Commissioni Comunicazioni e Cultura del Senato della Repubblica.

Quindici pagine nelle quali il presidente Calabrò, pur mostrando assoluta consapevolezza della complessità della materia che la sua Autorità si accinge a regolamentare, circa l’esigenza e l’opportunità di un intervento parlamentare che valga a fissare almeno alcuni principi cardine in materia di Internet e diritto d’autore, ha, sfortunatamente, confermato la determinazione dell’Agcom di andare avanti per la sua strada, dettando una nuova “disciplina omnibus” sulla circolazione di contenuti informativi e creativi online.

Il presidente dell’Autorità, nella relazione – resta da vedere se lo abbia fatto in risposta ad una delle domande forse rivoltegli dai senatori presenti – si dice convinto che la sua Autorità stia agendo in esecuzione di un obbligo – non richiesto – attribuitole dalla legge e che, pertanto, andrebbe osservato ed attuato. Non spiega, però, Calabrò – e la circostanza non sorprende – quale sarebbe la legge dello Stato che attribuisce all’Agcom il potere di dettare regole omnibus per la tutela del diritto d’autore nelle reti di comunicazione elettronica.

Non lo spiega perché, sa bene, che questa legge non esiste.

L’Autorità – non lo si ripeterà mai abbastanza – ha sì poteri di vigilanza e controllo in materia di diritto d’autore online ma non ha poteri regolamentari se si eccettuano quelli appena attribuitile dal famigerato decreto Romani, limitatamente all’attività di fornitura di servizi media audiovisivi.

E’ contro questa sorta di “ipocrisia istituzionale” e di assoluta mancanza di trasparenza che si scontrano e frantumano le migliaia di belle parole contenute nella relazione del presidente dell’Agcom circa l’opportunità di trovare una posizione di equilibrio tra la libertà di informazione e la tutela dei diritti d’autore in Rete.

Sono parole che suonano vuote perché non si può, a un tempo, arrogarsi il diritto di far dettare – in palese carenza di potere – a una piccola Autorità amministrativa di un minuscolo Paese come il nostro le regole della governance della circolazione dei contenuti nella Rete globale e poi, qualche riga più giù, sostenere che il tema è tanto complesso da richiedere l’intervento dell’Onu o, almeno, quello del Parlamento nazionale.

Questa è, appunto, ipocrisia istituzionale o mancanza di coraggio, quel coraggio che, tuttavia, i cittadini si attendono da chi è chiamato a presiedere un’Autorità alla quale l’ordinamento attribuisce ruoli e funzioni fondamentali nella garanzia dell’equilibrio democratico nella società dell’informazione.

E’ il silenzio – almeno a scorrere il testo della relazione e ad ascoltare gli interventi registrati da Radio Radicale – la risposta che il presidente Calabrò ha riservato alle rilevanti questioni sollevate dal senatore Vita e dal senatore Vimercati, che hanno dato voce – e gliene va dato atto – alle istanze ed eccezioni emerse in Rete nelle ultime settimane.

Le risposte alle molte domande poste all’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni ed al suo presidente in aula e in Rete, sfortunatamente, non sono arrivate.

Non resta che continuare ad attendere ed augurarsi che i prossimi giorni portino consiglio a tutti e che l’Italia non sia il primo Paese al mondo dove la governance della Rete viene affidata ad un atto amministrativo adottato in carenza di qualsivoglia delega e direttiva da parte del Parlamento.

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