Un elemento spesso sottovalutato nell’analisi sullo stato di salute dell’ultima superpotenza è che – per una consistente minoranza di americani – un presidente afro-americano è esso stesso un segno di declino.

Quando questa minoranza si lascia prendere dalla nostalgia, e volge le spalle a un presente inguardabile e a un futuro da spavento, vede una superpotenza invincibile, che domina il mondo e flette i muscoli in ogni parte del globo La più efficiente economia di ogni dove, una nazione cristiana, una nazione bianca. E ora – e con questo intendo tra poco più di dieci anni – i bianchi diventano una minoranza nel loro stesso paese.

E gli islamici hanno il diritto di vivere qui e addirittura costruire una moschea in Ground Zero, anche se sognano la distruzione degli Stati Uniti, anche se finanziano e fomentano il terrorismo. E i cinesi sono diventati i banchieri del paese, e gli Stati Uniti non possono nemmeno chiamarli “comunisti” per paura che questi chiudano il rubinetto del credito.

Il segno di questo declino – che, per questa minoranza, non è soltanto politico, è sociale, è morale –  è lo stesso presidente. Barack Obama è alieno alla tradizione di successi e valori che contraddistingue la storia anche recente del paese. Il suo padre naturale era africano, quello adottivo era asiatico. Ha frequentato Harvard in virtù delle “quote” istituite a favore delle minoranze razziali, è diventato presidente grazie al senso di colpa che gli afro-americani hanno instillato nel cuore e nella mente dei bianchi.

Probabilmente non è nemmeno americano (e si riferiscono al suo certificato di nascita). Ma se anche lo fosse, quell’uomo dalla carnagione scura alla Casa Bianca è una provocazione che va raccolta, oppure un segno dell’imbarbarimento in cui il paese è caduto. Come nell’antica Roma, l’arrivo dei generali germanici alla guida delle legioni non salvò l’impero, ma ne accelerò il collasso.

La riscossa parte allora dalla rimozione di quella provocazione e dal ristabilimento dell’ordine naturale delle cose, quelle che resero questo paese unico e che possono renderlo unico ancora. L’alternativa è accettare l’inevitabile, la fine di un mondo glorioso, di una storia di trionfi, di una eredità di valori cristiani e principi occidentali che hanno reso grande il paese e illuminato il mondo intero. In entrambe i casi, il presidente fa parte del problema, non della soluzione.

Così circa il 40% della popolazione bianca di questo paese – qualcosa come 80 milioni di americani – vede il suo presidente.

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