“Altro che megafono, io sono un eroe”. Augusto Minzolini non delude mai. Quando non si dedica ai suoi ormai celebri editoriali dalla finestra del Tg1, rilascia interviste a Il Giornale in cui dà il meglio di sé. Il “rapace del Transatlantico”, come lo chiama l’intervistatrice, non ci sta a passare per “fazioso” e all’accusa di essere, come dice di Pietro, “l’Emilio Fede della Rai” rilancia: “Ah, giusto. Perché per loro pluralismo dell’informazione significa che c’è una scaletta di notizie che dai grandi quotidiani arriva ai telegiornali. Non vogliono giornalisti, ma megafoni».

La giornalista prova a metterlo in difficoltà, ma il Minzo ha una risposta per tutto, anche per quei “68mila eurini del nostro canone spesi in 15 mesi”. Innanzitutto, spiega, “le cose stanno così. Arrivo al Tg1, solo dopo l’accordo mi dicono che non posso più scrivere per Panorama“. La carta di credito aziendale diventa un “benefit per compensare” la mancata retribuzione da parte del settimanale di proprietà di Silvio Berlusconi. “Poi ci ripensano, dicono che non era un benefit ma una facility e mi chiedono i soldi indietro. Gli ho già restituito tutto, 65mila euro”.

Tra l’altro, nota scocciato il direttore, “alla Stampa avevo la stessa carta di credito e spendevo più che in Rai. Non da direttore, ma da inviato”. La differenza tra il servizio pubblico, pagato dai contribuenti, e un quotidiano di proprietà di un privato e quindi libero di spendere le risorse a piacimento, non lo sfiora neppure. E infatti, dopo la circolare emanata a novembre 2010 dall’ex dg Mauro Masi per tagliare le spese del 30 per cento in risposta allo scandalo delle spese pazze del direttorissimo, Minzolini ricomincia a collaborare con Panorama in barba al più elementare conflitto d’interessi. E sulle spese pazze sposa la tesi del complotto: “Guarda caso hanno tirato fuori questa storia a poche settimane dal famoso 14 dicembre in cui secondo qualcuno sarebbe dovuto cadere il governo».

In realtà, la notizia viene data la prima volta da Il Fatto Quotidiano il 12 novembre 2010. Un consigliere di minoranza aveva chiesto un consuntivo a Mauro Masi che si era visto costretto a snocciolare le cifre nel Cda di viale Mazzini facendo emergere che Minzolini da solo, per rappresentare l’azienda, aveva speso più del doppio della cifra consentita (35mila euro). La Corte dei Conti apre un’indagine per danno erariale, mentre la procura di Roma indaga per peculato. Minzolini si difende restituendo i soldi, ma Masi lo scarica. E due giorni fa, dalle carte dell’inchiesta trapela che il direttore generale della Rai ha messo nero su bianco, in un verbale del 16 giugno, di non avere mai autorizzato quelle spese.

“Altro che megafono”, s’indigna Minzolini sul Giornale, ma i freddi numeri lo contraddicono platealmente: a maggio e giugno il suo Tg1 ha dedicato al governo il 41,3 per cento del tempo di parola, quasi il doppio rispetto al 22,7 per cento del periodo elettorale, in cui era in vigore la par condicio. Lo rivelano gli ultimi dati dell’Osservatorio di Pavia, pubblicati oggi da Il Sole-24 Ore. Mettendo insieme l’esecutivo e il Pdl, il direttorissimo ha dedicata all’area di stretta osservanza berlusconiana quasi il 60 per cento dello spazio dedicato al dibattito politico. Al Pd, il maggiore partito d’opposizione, è rimasto il 12 per cento.

La concomitanza tra l’intervista di Minzolini e la pubblicazione dei dati dell’Osservatorio, commenta Carlo Rognoni, presidente del Forum del Pd per la riforma televisiva, “sembra uno scherzo”.

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