Ed eccola, la Woodstock del Liga. Per lui i fan arrivano a migliaia fin dalle prime ore del mattino. E c’è chi ha addirittura passato la notte davanti ai cancelli per accaparrarsi la posizione migliore per assistere a Campovolo 2.0, il live che lo riportano nella sua Reggio Emilia.

Una folla oceanica che non è nuova a Campovolo, la zona dell’aeroporto di Reggio Emilia che già nel 2005 ospitò il rocker e le 160mila persone venute ad ascoltarlo, nonostante il caldo e i biglietti a 49.50 euro che – per un compleanno-evento fatto a Reggio Emilia, la sua casa natale – forse sono un po’ esagerati. E stasera tocca di nuovo a lui, ancora un concerto-evento che lo vedrà accompagnato da ben sedici musicisti, tra vecchie conoscenze (come Federico Poggipollini, il chitarrista che da anni gli amplifica i riff di chitarra) e numerosi nuovi artisti.

Vengono da tutta Italia per assistere allo spettacolo, in questa mattina infuocata che a buon ragione fa gridare “Cappelli a cinque euro” o “birra e Coca Cola!” ai venditori ambulanti, anche loro ben organizzati per il “giorno dei giorni”.

Vengono dalla Sicilia, dalla Calabria, da Roma o da Treviso, Venezia, Genova, Torino. Il treno Bologna-Reggio Emilia si trasforma per l’occasione in un pre-spettacolo: fin dai binari, alle nove di mattina, le parole di Ligabue accompagnano il regionale “diretto a Piacenza”. I cancelli a Campovolo aprono presto, alle dieci gli uomini della sicurezza sono già ben collaudati. Sarebbe impossibile, altrimenti, contenere un vero e propri fiume umano. In centinaia, sotto il sole cocente aspettano con eccitazione e pazienza il proprio turno: “Avanti, lasciate le bottiglie di vetro e i tappi di plastica delle bottiglie qui fuori”.

Il palco è ancora lontano. La fila è qui, dietro le transenne. Arriva un gruppo di fan da Avellino: fumogeni al grido di “Chi non canta Vasco Rossi è”. Il coro diventa un leit-motiv, e per una buona mezz’ora il cantante di Zocca diventa il bersaglio principale per ingannare l’attesa. Del resto, la faida Liga-Vasco non è da meno rispetto a un derby Milan-Inter.

I due si sono beccati a suon di San Siro ed Olimpico, Dall’Ara e Delle Alpi, Arene d’Italia assortite. Tutte rigorosamente piene, anzi strapiene. Inizia il Blasco a dare l’idea nei primissimi anni duemila: siamo sulle 60000-70000 persone, poi lentamente il numero aumenta in modo costante. Ligabue risponde rintuzzando e rilanciando fino a Campovolo 2005 con 180000 paganti. E’ record europeo che, tra l’altro, non si supera nemmeno con Campovolo 2.0 (110000 i venduti)

Potrebbero sembrare Coppi e Bartali: tutti e due amanti dello stesso ritmo in piedi sui pedali di un rock anni Ottanta e Novanta non più ribelle ma molto borchiato e di pelle, tutti e due pronti a lanciarsi in mezzo al pubblico a braccia aperte come Jim Morrison ma senza averlo mai fatto.

Eppure chi ascolta Vasco, non ascolta il Liga. E viceversa. Questione anagrafica prima di tutto, questione melodica oltretutto. Rossi mette in scena qualcosa che sfiora il leggendario, rifà il verso dei grandi: si accascia, si scioglie, si sgola. Ligabue sta sempre ritto in piedi, sembra avere tutto terribilmente sotto controllo con questo impasto impossibile di chitarristi che nemmeno nell’heavy metal.

Comunque Vasco ha deciso di ritirarsi e Ligabue dopo il 2.0 non più che fare una botta di conti. Come Elvis non ci finisce nessuno, ma nemmeno come i Nirvana o i Doors. Ad ogni epoca il suo rock, ad ogni decennio il suo idolo. Dopo Vasco c’è il Liga. E dopo il Liga chissà…

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