Il sindaco di Parma, Pietro Vignali, cerca di mettere la testa sotto la sabbia. Chiuso dentro il palazzo comunale, mentre fuori imperversa la quarta protesta messa in atto dagli indignati dandreai Parma, sembra che il primo cittadino speri che negandone l’esistenza smetta di esistere: “E’ fatta da stranieri, da gente che non vive a Parma, portata qui dai centri sociali di altre città”, “è pilotata e manovrata”, continua a ripetere nelle interviste e a chi gli chiede spiegazioni.

Ma la Parma indignata non si è fatta fermare. Nemmeno dal caldo afoso che ha messo in ginocchio tutti in questi giorni, e su cui contavano gli amministratori per evitare l’ennesima protesta in strada durante il consiglio comunale, la gente non si è stufata di chiedere a gran voce le dimissioni del sindaco. E critiche ancora più roventi sono arrivate ieri da parmigiani che si sono sentiti chiamare stranieri dallo stesso primo cittadino, semplicemente perché non d’accordo con il suo modo di fare politica. Una posizione, quella di Vignali, riportata anche dalle pagine di Libero nei giorni scorsi, unico giornale con cui il sindaco di Parma si è sfogato dichiarando che le manifestazioni di piazza siano pilotate e guidate.

Ma i cittadini non ci stanno ad essere coperti dalle negazioni del sindaco. E decine di associazioni, cittadini comuni, abitanti di Parma hanno deciso di farsi chiamare ‘La piazza’: un soggetto nuovo, nato in questi giorni, che prendendo spunto dallo stesso Vignali ha presentato una lettera indirizzata al sindaco, chiamata ‘Cahier des doleances della Piazza di Parma’. Un documento che doveva essere letto in consiglio comunale da parte dei consiglieri di minoranza, ma rifiutato in quanto non inserito nell’ordine del giorno, da parte del presidente del consiglio Elvio Ubaldi.

“Sì siamo stranieri, a questo modo di vivere – scrivono -. Siamo estranei alla vostra idea di democrazia che ci vuole solo pubblico plaudente e pagante. Siamo stranieri nella Green city propagandata in mille salse, comodo slogan dietro al quale si cela lo scempio di una cementificazione che ha portato Parma ad inghiottire l’equivalente di 160 campi da calcio in un biennio, diventando terza città in Italia in cui si è costruito di più. Questa febbre di cemento ha anche rovinato le casse comunali, con l’infernale meccanismo delle società partecipate, gestite con disinvoltura da personaggi come Andrea Costa o Nando Calestani, nei quali il commissario ha già chiesto azioni di responsabilità. Il debito è di oltre 600milioni di euro”.

Ma ‘La Piazza’ alza il tiro. E oltre alla corruzione, punta il dito contro tutto quello che a Parma non è andato in questi anni, meccanismi fondamentali per il funzionamento di una macchina che solo sull’apparenza e sulle feste in piazza non poteva appoggiarsi solidamente: “Siamo stranieri alla Parma dei vigili militarizzati, quelli che vengono minacciati di trasferimento se fanno una multa a un potente della città come Marco Rosi, che vengono difesi quando pestano un ghanese, per cui sono stati spesi 30mila euro per ogni gabbiotto posizionato in città che ora è sempre vuoto. Il bilancio è stato salvato grazie alle multe pagate dai cittadini. E il vice sindaco afferma che potrebbe essere ritoccata l’Irpef per far fronte alla situazione. Alla fine tocca sempre a noi di pagare”.

Insomma, se il sindaco non ha le idee chiare, visto che prima diceva di non volersi dimettere ma di far dimettere i dirigenti, poi di non volersi più ricandidare, ora di arrivare giusto al tempo di risolvere i guai della città, ‘La Piazza’ di Parma ce le ha chiarissime: “Per la piazza voi non siete più legittimati a governare – proseguono i cittadini -. Siamo in tanti e lo saremo ogni giorno di più finchè rimarrete attaccati alle poltrone. Parma per fortuna non è solo quella vetrina appariscente e vacua che avete dipinto negli anni, non è solo un terreno da mettere a valore per rinsaldare legami torbidi con una classe imprenditoriale marcia come quella politica. Sotto le rovine c’è una città che non si è mai piegata, che animava le barricate nel ’22, che 20 anni dopo gli ha fatto meritare la medaglia d’oro alla Resistenza, quella Resistenza che voi avete gettato alle ortiche. Non ne vogliamo più sapere del vostro modo di vivere“.

Una lettera che è stata recapitata a tutti i consiglieri, che avrebbero voluto leggerla in consiglio. Ma il presidente Ubaldi si è opposto, in quanto non inserita come ordine del giorno. La minoranza ha comunque voluto replicare con un proprio comunicato. “Il sindaco nega la realtà – risponde il gruppo consigliare del Pd -. L’indignazione della città è reale, profonda e diffusa: i 180mila euro per le rose sul Lungoparma sono diventate l’emblema della mala gestione dell’Ente. I cittadini si sentono presi in giro, offesi nel loro diritto di cittadinanza e profondamente delusi per l’ennesimo tradimento della politica incapace di operare per il bene comune. Anche gli elettori di centrodestra. Una dimostrazione sono i ‘Chaiers des doleances della piazza di Parma’: un’analisi puntuale, determinata e sofferta scritta dagli stessi cittadini, non dai politici”.

Guarda caso, è proprio lo stesso Ubaldi (ora nemico, ma un tempo mentore di Vignali, ndr) ad essere stato coinvolto nell’ennesimo scandalo comunale. Nei giorni scorsi la Corte dei Conti ha condannato 33 persone, tra dirigenti, funzionari e componenti di due Giunte comunali: quella passata guidata da Elvio Ubaldi e l’attuale presieduta da Pietro Vignali. Per i giudici, il danno complessivo causato alle casse del Comune dalle polizze fuorilegge (gli anni vanno dal 2000 al 2011) è stato di 369.800 euro. La somma, hanno stabilito i giudici, dovrà ora essere risarcita dai 33 colpevoli, in parti proporzionali alla loro responsabilità. L’ex sindaco Ubaldi dovrà risarcire 21.080 euro, Vignali 23.518.

A questo si aggiungono altri 20.000 euro di spese legali, che i 33 dovranno dividersi pagando 600 euro a testa. Un processo gemello, già discusso davanti alla Corte dei conti, vede imputato il Rettore dell’Ateneo di Parma Gino Ferretti per presunte polizze fuorilegge: in quel caso la decisione dei giudici deve ancora arrivare.

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