Ho scritto questo post all’una di notte, appena rientrato a casa dalla fiaccolata in centro a Torino No Tav per il bene comune. Una manifestazione enorme preparata in 2 giorni, in un venerdì sera funestato anche da un po’ di pioggia. Un caro amico ex sindacalista della Fim-Cisl, Adriano Serafino, che ho incontrato alla fine della manifestazione, ha contato i manifestanti con un vecchio metodo sindacale: fermarsi in un punto e contare quante persone passano in un minuto (circa 500 in questo caso) e poi contare in quanto tempo sfila per quel punto il corteo. Adriano dice che sono stati 38 minuti, quindi secondo lui c’erano circa 19mila persone alla fiaccolata, la questura ha detto 6.000 , La Stampa di Torino scriverà di 10mila, decidete voi chi ha ragione.

Un’iniziativa pacifica e pacificata per ridare la parola alle ragioni dei No Tav, che sono forti e non hanno bisogno né di gesti sconsiderati, né di essere un problema di ordine pubblico. Si vogliono spendere per l’Italia, a progetto non ancora avviato, 15 miliardi di euro proprio nei giorni in cui si dice agli italiani che dovranno risanare il debito con manovre che in quattro anni vanno, a seconda dei calcoli, da 48 a 62 miliardi di euro. Il costo prevalente di questi tagli colpirà l’assistenza e i servizi, e pagheranno i più deboli: giovani senza lavoro, pensionati al minimo, lavoro autonomo povero e lavoro dipendente. Quei 15 miliardi andrebbero spesi diversamente, se ci sono, e ieri sera, nel primo incontro di massa tra No Tav valsusini e cittadini torinesi, si è visto che cosa ha messo e può mettere in moto il movimento dei beni comuni, che ha vinto i referendum nella freddezza di quasi tutte le forze politiche tradizionali.

E’ incomprensibile che il principale partito del centro sinistra, il Pd, non capisca la mutazione di comportamenti sociali che sta avvenendo all’interno della crisi, con un ritorno alla partecipazione (come ha notato anche Ilvo Diamanti) che accorcia la delega: i cittadini vogliono decidere sulla spesa pubblica e premiano, dove ci sono, quei politici che accettano di condividere le scelte con la popolazione (Pisapia a Milano e De Magistris a Napoli). Va quindi invertita la rotta rispetto a un consenso bipartisan (quel famigerato Washington Consensus) che non è più in grado di proporre un modello di sviluppo sostenibile ed accettabile.

L’esito referendario, la vertenza della Val di Susa contro la Tav e il grande consenso popolare che è stata capace di raggiungere in tutto il Paese mostrano come la sensibilità per i beni comuni, categoria politico-giuridica feconda e di grande significato, sia stata capace di conquistare l’egemonia del Paese. Esiste oggi un discrimine fra chi sostiene che un mondo diverso, basato sul pieno riconoscimento dell’interesse collettivo, è possibile e chi, per incapacità culturale di interpretare il mutamento della società, si trincera dietro un decisionismo autoritario che, lungi dall’essere realista, appare, nell’attuale situazione economica ed ecologica, sempre più velleitario. Chi si candida a guidare l’Italia del dopo Berlusconi deve costruire un’alternativa cercando i voti per portare al governo del Paese un processo di cambiamento che ascolti i movimenti e le rappresentanze sociali dei beni comuni, compresa l’ opposizione alla tav in Val di Susa. Il tempo dell’autosufficienza si è concluso!

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