Sembra che il destino dell’Alta velocità in Italia dipenda solo dai cantieri della Val di Susa, ma la situazione è molto più complessa. La famigerata Torino-Lione rappresenta infatti solo una parte del lungo asse che dovrebbe collegare Lione con il confine ucraino, passando attraverso Italia, Slovenia e Ungheria: 1.638 chilometri di strada ferrata, di cui finora ne sono stati completati solo 234.

Si tratta del cosiddetto asse prioritario 6, progettato in linea teorica dall’Ue all’interno dell’enorme network Ten-T, la rete di trasporto trans-europea ideata negli anni Ottanta per collegare tutta Europa con ferrovie e autostrade del mare. Solo “in teoria”, perché a decidere dove far passare nella pratica i tracciati dei 30 assi ci pensano gli Stati membri in accordo con le autorità locali. Nel caso dell’asse 6, l’Ue si è limitata a dettare il tracciato di massima (Lione-Trieste-Divača/Koper-Divača-Lubiana- Budapest-confine ucraino), lasciando libertà di manovra ai diversi Paesi per i tratti di loro competenza.

Sicuramente il passaggio piemontese rappresenta lo snodo più delicato: per motivi geografico-ambientali e per la ferma opposizione della popolazione locale. Ma costruire il tunnel di 57 km tra Jean de Maurienne e la Val di Susa non vuol dire portare a casa l’Alta velocità, visto il ritardo cronico in cui versano i lavori sul resto dell’asse, a cominciare dalla parte italiana. Dove, secondo il Progress Report 2010 della Commissione europea, sinora è stato completato solo il 18,8 per cento dei lavori. In Italia sono state costruite solo le tratte Torino-Novara, Novara-Milano, Milano-Treviglio e Padova-Venezia. Per il restante 40,8 per cento del totale, il completamento dei lavori è previsto entro il 2013, ma dal momento che mancano sia i progetti che i soldi, si tratta di una data del tutto utopica. Sì perché l’Ue finanzia soprattutto le parti a cavallo dei confini. Nel caso del tratto italiano, Bruxelles non ne finanzierà più di 671 milioni (a causa dei ritardi, ieri l’Ue ha annunciato tagli ai fondi) a fronte dei 20 miliardi previsti per l’opera che saranno a carico delle finanze di Roma.

Proprio questa carenza di risorse destinate all’Alta velocità in Lombardia e Veneto ha spinto gli imprenditori del Nord Est ad organizzare il 17 giungo scorso una giornata dal titolo eloquente: “La Tav ce la facciamo da soli”. Convinti che l’Alta velocità ferroviaria sia indispensabile per il territorio più industrializzato d’Italia, a Casale sul Sile, a due passi da Treviso, imprenditori ed amministratori locali hanno parlato della possibilità di lanciare un project financing per finanziare l’opera privatamente. Da Treviglio a Padova e da Mestre a Trieste ci vogliono circa 15,8 miliardi di investimenti, ma secondo il vicepresidente di Confindustria Cesare Trevisani, “solo 1,4 miliardi sono stati finanziati con risorse pubbliche”.

Ma anche se si trovassero i soldi, restano i problemi del tracciato. Veneto e Friuli Venezia Giulia stanno bisticciano da anni per decidere dove far passare il tracciato al loro confine. Proprio per questo, come fotografa il report della Commissione, “il tratto Venezia-Trieste è in gravissimo ritardo”. Ai problemi di allineamento si aggiungono quelli di fermata. E’ il caso di Verona e Vicenza, entrambe interessate ad avere lo stop della Tav.

Uscendo dall’Italia la situazione non migliora. Tranne una breve tratta tra Slovenia e Ungheria, il tracciato versa totalmente in alto mare, con interi tratti su cui si deve ancora iniziare a ragionare. E l’Ucraina diventa sempre più lontana. Proprio per fare il punto sul network Ten-T, la Commissione ha lanciato una revisione delle proprie priorità, anche per ottimizzare i fondi messi a disposizione. Per il periodo 2007-2013, l’Ue ha stanziato oltre 50 miliardi di euro (8 dal programma Ten-T e 43 dal fondo di coesione e di sviluppo regionale). Secondo Monica Frassoni, presidente del partito europeo dei Verdi ed ex deputata al Parlamento europeo, l’Ue dovrebbe riconsiderare l’utilità dell’intero asse 6. “Si tratta di un’opera faraonica, impossibile da realizzare in una realtà come quella italiana e che proprio non possiamo permetterci”. E poi, certo, c’è la Val di Susa.

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