Nelle migliaia di carte delle inchieste Infinito e Tenacia sulla presenza della ‘ndrangheta in Lombardia il suo nome compariva alla voce “capitale sociale” delle cosche. Così è stata tratteggiata dai magistrati la figura di Antonio Oliverio, calabrese, ma soprattutto ex assessore nella giunta provinciale di Filippo Penati. Indagato e poi rinviato a giudizio per corruzione e truffa aggravata, oggi Oliverio festeggia la richiesta di archiviazione fatta direttamente dal pm Alessandra Dolci che ha concluso la sua requisitoria nel processo con rito abbreviato che vedeva alla sbarra 119 persone. Per le altre 118 persone l’accusa ha chiesto, invece, condanne  fino a a un massimo di vent’anni di reclusione.

Antonio Oliverio è stato assessore della giunta provinciale guidata da Filippo Penati dal 2007 al maggio 2009, con deleghe alla Moda e al Turismo. Nell’ordinanza di custodia cautelare del luglio 2010, firmata dal gip Giuseppe Gennari e a carico di alcuni presunti affiliati alla ‘ndrangheta, Oliverio veniva indicato come “la persona giusta per operazioni di lobby, per mettere a frutto quella rete di relazioni istituzionali e politiche di cui si nutre l’organizzazione criminale”. L’ex assessore era stato iscritto nel registro degli indagati per i suoi presunti rapporti con la Perego General Contractor, società, in mano alla ‘ndrangheta, che si occupava di movimento terra.

Nella sua ordinanza il gip così scrive: “Dalle conversazioni riportate appare evidente il ruolo di Oliverio, che continua ad essere considerata una figura di non trascurabile importanza all’interno dei contatti politico istituzionali che interessano le vicende della Perego”. Il giudice prosegue. “Per cominciare, bisogna dire che Oliverio non è personaggio preso a caso. Egli è coniugato con Corsaro Rosaria, i cui genitori sono Corsaro Francesco Giuseppe e Mancuso Antonia, quest’ultima sorella dei fratelli Mancuso Pantaleone, Mancuso Antonio e Mancuso Cosmo, tutti con precedenti di polizia per associazione di tipo mafioso, nonché al vertice della omonima ‘ndrina, operante nella provincia di Vibo Valentia”.

Di più: secondo gli investigatori la rete dei rapporti istituzionali e politici di Perego si infittisce grazie ad Oliverio. “Perego – si legge in ordinanza – viene invitato a partecipare a una manifestazione intitolata “Giornata della Sussidiarietà”, organizzata dalla Compagnia delle opere”. E il progetto dell’imprenditore è chiaro: “Iscrivere la Perego alla Compagnia delle opere, indicando Oliverio come la persona che potrebbe far crescere ulteriormente l’azienda”. Ecco, allora, cosa dice lo stesso Perego a uno dei suoi soci a proposito dell’incontro: “C’era qui Formigoni (…) Lupi, c’erano tutti (…) io in pole position”. E ancora: “E’ andata bene, adesso quando viene martedì ci vuole iscrivere Compagnia delle Opere e poi hanno le banche loro”. Le intercettazioni, annotate nelle informative dei Ros, svelano i progetti dello stesso Perego nei confronti di Oliverio: “Nel prosieguo della conversazione emerge un aspetto significativo circa la figura di Oliverio che, a detta di Perego, dovrà decidere se continuare a svolgere l’incarico di Assessore o fare il Direttore dell’Expo”. Chiosa il gip: “Quindi Oliverio si propone come ben retribuito consulente della Perego; e qui la consulenza si estrinseca nella costruzione di occasioni di incontro con elevati esponenti politici che si ritiene – nella logica dell’imprenditore – potere essere il mezzo per ottenere successivi vantaggi”.

Ancora più chiaro il passaggio finale con cui il gip conclude il capitolo dedicato a Oliverio: “Il politico, con sovrano cinismo, dice a Perego non non esporsi troppo con Podestà perché poi magari rivince Penati e lui li ancora quattro contatti li ha. Oliverio promette a Perego di aprirgli tutte le strade. Dice che loro sono una squadra dove Oliverio è il capo. Parole di questo genere, dette da chi si candida a ricoprire ruoli istituzionali e di amministrazione della cosa pubblica, non possono che preoccupare. E preoccupano perché rivelano l’asservimento totale dell’uomo pubblico a interessi privati. Vogliamo dire che Oliverio poteva non sapere che Perego avesse la ‘ndrangheta in casa e che Pavone fosse la ‘ndrangheta ? Ebbene, Oliverio non è raggiunto da richiesta di misura cautelare (…). Tuttavia, è evidente che sono questi momenti patologici, di osmosi tra attività istituzionali e interessi particolari, che rappresentano la via di ingresso della criminalità organizzata – che già controlla i colletti bianchi – nel mondo economico e politico”.

Oggi, però, il pm ha chiesto per lui l’assoluzione. L’accusa ha chiesto 20 anni di reclusione per Alessandro Manno, capo di una delle quindici locali. Sono stati chiesti invece 18 anni di reclusione per Pasquale Zappia, quello che fino al momento degli arresti era il capo dei capi della ‘ndrangheta in Lombardia, eletto nell’ormai famoso vertice tra i capi cosca che si tenne il 31 ottobre 2009 nel centro Falcone-Borsellino di Paderno Dugnano, nel milanese. Diciotto anni sono stati chiesti anche per altri capi delle locali come Vincenzo Mandalari, Pasquale Varca, Vincenzo Rispoli e Cosimo Barranca, capo della cosca di Milano. Il pm ha chiesto invece 16 anni per Pietro Panetta e per Salvatore Strangio, il quale, secondo l’accusa, aveva in mano la Perego Strade, una delle più importanti società del movimento terra in Lombardia. In particolare, l’accusa ha chiesto condanne comprese tra i 6 e i 20 anni di reclusione per quegli imputati a cui viene contestato il reato di associazione mafiosa, mentre per altri imputati sono state chieste pene più basse anche attorno all’anno di reclusione. Nel corso della sua requisitoria, durata alcune udienze nell’aula bunker di via Ucelli di Nemi, il pm Dolci ha parlato di una vera e propria “colonizzazione” da parte delle cosche della ‘ndrangheta in Lombardia. Altri 39 imputati sono invece a processo con rito ordinario e la prossima udienza è fissata per il 15 luglio.

Davanti al gup di Milano Roberto Arnaldi, sono intervenuti poi i legali della Regione Lombardia, di sei comuni lombardi (Pavia, Bollate, Paderno Dugnano, Desio, Seregno e Giussano), del Ministero dell’Interno, della Presidenza del Consiglio e della Federazione antiracket. Hanno tutti fatto richieste di risarcimento danni. La sentenza non arriverà prima dell’autunno poiché sono previste le arringhe di circa 150 avvocati.

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