Il sospetto c’era già, ma oggi – grazie al servizio Bilancio del Senato – è una certezza: quella presentata in pompa magna da Giulio Tremonti è una manovra a babbo morto. Il famoso azzeramento del deficit non inizia infatti prima del 2013, quando ci sarà un altro governo, e per un terzo non si sa nemmeno come avverrà, essendo affidato ad una fumosa delega fiscale: quest’anno e il prossimo – per contrappasso – il rientro sarà una fuoriuscita visto che la spesa pubblica dovrebbe aumentare di circa 6 miliardi, uno 0,1% più delle maggiori entrate. A spiegare al popolo nel dettaglio il lavoro dei tecnici di palazzo Madama ci ha pensato l’economista Tito Boeri sul sito “lavoce.info”. Intanto i numeri: per arrivare all’azzeramento del deficit entro il 2014 bisogna procedere ad una correzione che vale il 2,3% del Pil, cioè 40 miliardi. Dove li trova il governo? Per 6,6 miliardi arrivano da maggiori entrate, vale a dire le famose tasse, metà dei quali dalla stangata sui dossier titoli che alla fine annullerà “i rendimenti di un investimento in titoli di Stato per 30mila euro”. Sistemati i risparmiatori, si procede coi tagli: 7,4 miliardi a regioni, province e comuni (che alzeranno le loro tasse come hanno già cominciato a fare), 5 miliardi alla spesa sanitaria, sei ai ministeri, uno alle pensioni. A regime le minori spese dovrebbero ammontare a 18,8 miliardi.

Mancano dunque 15 miliardi al miraggio del deficit zero e qui entra in scena il mistero gaudioso della delega fiscale, che poi – come ha scoperto sempre lavoce.info – è scopiazzata da un’altra legge delega già approvata nel 2003 e mai esercitata dall’allora ministro dell’Economia (che poi è lo stesso di adesso). “La delega fiscale – scrive Boeri – dovrà reperire 15 miliardi in aggiunta a quelli necessari per finanziare la rimodulazione delle aliquote Irpef che deve avvenire – secondo quanto sostenuto dal governo – senza peggiorare la situazione di alcun contribuente. Quindi, presumibilmente, la manovra rinviata dovrà mobilizzare 25 miliardi con imposte sostitutive (l’unica spesa cui fa riferimento la delega è quella assistenziale). A conti fatti – spiega l’economista – si tratta di una manovra che grava per quasi due terzi sulle entrate e per un terzo su minori spese”. In sostanza, è la traduzione, “c’è un rinvio (a una legge delega) nel rinvio (ai governi futuri). Speriamo che basti a rassicurare gli investitori”. Non pare aria. I famosi mercati – “l’unica preoccupazione” del ministro dell’Economia, a quanto pare – non sono così facili ad essere tranquillizzati: questo è il senso delle soddisfazioni che si stanno prendendo in questi giorni portando in cielo il rendimento dei nostri titoli di stato (roba che, peraltro, genera altre uscite obbligatorie in interessi sul debito).

Quanto allo sviluppo, dice ancora Boeri, “non c’è nulla se non piccoli rifinanziamenti di fondi infrastrutturali”. Corollario ingeneroso, forse perché l’economista della Bocconi e i tecnici del Senato non sanno che nel capitolo Sviluppo della manovra è spuntato un “fondo-tesoretto” da 5,8 miliardi. Solo che non è come se il governo avesse scoperto una miniera d’oro, ma semplicemente il “conto” su cui vengono scaricati i proventi di tutte le misure fiscali che avranno effetto fin da quest’anno. Per farci che? Potenzialmente tutto, visto che il nome tecnico è “Fondo per interventi strutturali di politica economica”, magari anche un antipasto della riforma fiscale a fini elettorali. Nel 2013 il candidato sarà Alfano, ma nel 2012?

di Marco Palombi

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