La proprietà dello storico Grand Hotel di Rimini, immobile dal valore stimato attorno ai 70 milioni di euro, stava per essere trasferita pagando 168 euro invece di sette milioni.

Le due grandi società in ballo, leader nella gestione delle strutture ricettive su tutta la costa romagnola, tra cui la Select Hotels Collection, stavano per mettere a segno la complessa serie di operazioni finanziarie e societarie per ottenere il super-risparmio, ma non avevano previsto il controllo della Guardia di Finanza di Cervia.
E’ infamante l’accusa che le Fiamme Gialle fanno cadere sulla testa di Antonio Batani, ex cameriere proprietario del Gran Hotel di Rimini e noto come “il signore degli alberghi” sulla costa romagnola, che ora si ritrova indagato per evasione fiscale.

L’imprenditore venuto da San Piero in Bagno in questi anni ha creato, con la Select Hotels Collection, un vero e proprio polo di accoglienza della riviera, con 10 alberghi di categoria 5 e 4 stelle, per un totale di oltre 1.500 posti letto cui si è aggiunto, nel 2007, proprio il Grand Hotel riminese (5 stelle lusso).

Un’autentica icona del turismo internazionale celebrata, all’epoca, anche da Federico Fellini in diversi suoi capolavori (“Amarcord” in particolare nella scena della danza onirica) prima che dalla Rai nelle dirette di Capodanno care al grande pubblico della tv.
Il Grand Hotel, fra l’altro dichiarato monumento nazionale dal 1994, era ‘sfuggito’ per un soffio a Batani nel febbraio del 2006, quando la concorrenza dell’immobiliarista romano Danilo Coppola aveva avuto la meglio. Poi, travolto il concorrente dalle bufere giudiziarie e finanziarie, il simbolo della riviera era tornato sul mercato: il 18 dicembre del 2007, proprio la vigilia del centesimo compleanno del maxi albergo affacciato su piazzale Fellini, Batani l’aveva acquistato dopo un mese di trattative.
Ebbene, a quattro anni da queste più che tribolate vicende il Grand Hotel torna ancora una volta alla ribalta delle cronache per i problemi legati al suo trasferimento. Nel corso di altre indagini, quasi per caso, i finanzieri si sono insospettiti per la numerosa serie di atti che avevano riguardato la cessione: il fine ultimo, secondo l’accusa, è risultato quello di sottrarre alla tassazione il valore del passaggio di proprietà. Nello specifico, la Guardia di Finanza ha contestato la mancata applicazione dell’imposta di registro in quanto le parti hanno mascherato la reale cessione d’azienda.

Come? Ricorrendo al classico schema che prevede prima la cessione di quote societarie e, solo in una seconda fase, la fusione tra la società acquisita e la società acquirente. Operazioni che potrebbero pure sembrare lecite, ma spesso celano- è la tesi dei finanzieri in questo caso- un rilevante intento elusivo.

La cessione di quote di società è infatti soggetta esclusivamente all’imposta in misura fissa sui contratti di borsa, mentre la fusione di società è disciplinata dalle norme del testo unico per le imposte sui redditi che ne statuiscono la neutralità dal punto di visto fiscale, al ricorrere di precise circostanze.

In particolare, il testo unico delle disposizioni  sull’imposta di registro (Dpr 131 del 1986, articolo 20) rubricato “interpretazione degli atti”, stabilisce che “l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”. Proprio sulla base di questo, già da anni, la giurisprudenza ha elaborato la massima per cui “una pluralità di negozi strutturalmente e funzionalmente collegati al fine di produrre un unico effetto giuridico finale, vanno considerati, ai fini dell’imposta di registro, come un fenomeno unitario”.
Dunque, le operazioni straordinarie attuate per permettere di fatto il trasferimento del Grand Hotel integrano proprio “questa ipotesi di collegamento negoziale”. Tesi della Guardia di Finanza che è arrivata a trarre queste conclusioni con la collaborazione dell’Agenzia delle Entrate-Direzione provinciale di Ravenna e Ufficio territoriale di Lugo. Da parte sua, Batani ha fatto sapere di essere “tranquillo” perché “mi sono affidato ai migliori commercialisti e avvocati dell’Emilia Romagna, che mi hanno detto che è tutto in regola: risponderò nelle dovute sedi di quanto mi viene contestato”.
Sta di fatto che anche per il Grand Hotel targato Batani non c’è pace. Nel 2010, l’anno della grande crisi, l’annuncio della chiusura aveva scatenato un braccio di ferro con i sindacati che si era quietato solo dopo la minaccia di una manifestazione in grande stile: i dipendenti, infatti, avevano deciso di incrociare le braccia il 31 dicembre e il primo gennaio, mica due sere qualsiasi. L’apertura solo stagionale alla fine era stata scongiurata in extremis grazie ad una maxi concertazione tra proprietà, lavoratori, Provincia e Regione: dei 40 lavoratori a tempo determinato solo 18 sono diventati stagionali, ma per nove mesi all’anno.

Nel maggio del 2010 ci aveva poi pensato Edoardo Raspelli, implacabile critico gastronomico, a stroncare su “La Stampa” il super-albergo tra: “acqua calda che manca nelle stanze, telefoni muti, muffa nei bagni, guardaroba incustodito”. Anni luce, insomma, dai giorni in cui al Grand Hotel si adagiavano Mussolini e la Petacci, Guglielmo Marconi, principi arabi e faccendieri come non ce ne sono più.

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