La Banca di Roma e il suo dominus Cesare Geronzi hanno contribuito a portare al fallimento la Cirio e hanno approfittato del loro rapporto privilegiato con Sergio Cragnotti per recuperare buona parte dei loro crediti prima che il gruppo facesse crac. Un crac da oltre un miliardo di euro di cui hanno fatto le spese migliaia di risparmiatori che avevano investito nei bond con il marchio dei pomodori pelati. Era questo in sostanza l’impianto dell’accusa al processo per la prima delle due grandi bancarotte di inizio millennio (l’altra è la Parmalat). E la sentenza di ieri del tribunale di Roma conferma in buona parte la tesi dei pm Gustavo de Marinis, Paola Filippi, Rodolfo Sabelli.

Geronzi, a soli tre mesi dal clamoroso ribaltone che ad aprile lo ha messo fuori dalle Generali, adesso viene colpito e affondato da una sentenza che rappresenta il più grave tra i suoi infortuni giudiziari. Certo, c’è ancora l’appello per ribaltare la situazione. E il banchiere può riuscirci come ha già fatto nel caso della bancarotta bresciana del gruppo Italcase Bagaglino. Il doppio colpo però, quello di Trieste (con la regia di Mediobanca) e quello del tribunale, rende più difficile da attuare ogni progetto di rivincita, di rientro alla grande nel mondo della finanza che conta. 

Di ipotesi in questo senso ne sono circolate molte nelle settimane scorse. Alimentate anche dal fatto che erano davvero in pochi gli osservatori disposti a credere a un Geronzi completamente fuori dai giochi nonostante i 76 anni compiuti a febbraio. Anche l’inchiesta napoletana su Luigi Bisignani, che ben conosceva e frequentava il banchiere romano, contribuisce però a creare la sensazione che sia proprio finita un’epoca, che certo potere romano abbia sempre maggiori difficoltà a riorganizzarsi. Staremo a vedere se l’arzillo vecchietto, per usare la celebre definizione di Diego Della Valle davvero si rassegnerà alla pensione.

I difensori del gran capo della Banca di Roma hanno cercato di far valere la loro tesi di un presidente non operativo, di un banchiere che si occupava di grandi strategie senza curarsi delle minuzie della gestione quotidiana. Il tribunale non ha evidentemente creduto a questa ricostruzione. E del resto erano numerosi gli indizi allineati in aula dai pm che dimostravano il contrario. “Caro Cesare” era l’incipit di una lettera di Cragnotti (citata durante il processo) al suo banchiere di riferimento, con il quale non mancava di condividere anche le occasioni di svago, tipo le trasferte oltrefrontiera al seguito della Lazio impegnata nelle coppe europee. Un legame costante e duraturo nel tempo. Che risale addirittura ai primi passi dell’avventura imprenditoriale dell’ex manager della Montedison di Raul Gardini.

La Banca di Roma compariva tra i primi azionisti e finanziatori della Cragnotti & partners fondata nel 1991 con base in Irlanda e filiali in Lussemburgo, Olanda e Svizzera (una simpatica catena di paradisi fiscali). Poi, con gli anni, l’istituto guidato da Geronzi diventa la house bank, dicono i pm, la banca di riferimento di Cirio. Ai bei tempi, quando Cragnotti guidava la Lazio, finanziava giornali (L’informazione) e comprava aziende in giro per il mondo (Bombrill, Del Monte) i finanziamenti targati Banca di Roma erano pari al 40 per cento e più del totale, con il resto dei prestiti suddivisi tra 102 istituti, come sottolinea la ricostruzione dei pubblici ministeri. E quando i debiti stanno per portare al collasso il gruppo famoso dei pomodori pelati è ancora la Banca di Roma a tirare le fila dell’operazione che consentirà a Cragnotti di rifiatare almeno per un po’ e ai creditori di evitare perdite e guai. Il settore latte di Cirio viene girato alla Parmalat di Calisto Tanzi, un altro imprenditore legato a doppio filo a Geronzi.

Il sistema bancario con in testa la Banca di Roma gestì tra il 1999 e 2002 una gigantesca manovra finanziaria sulla pelle di una Cirio ormai decotta e di migliaia di risparmiatori. I debiti bancari, che avevano raggiunto i 900 milioni di euro a fine 1999, si riducono a poco più di 300 milioni a poco più di 300 milioni nel 2002. Nel frattempo Cirio piazza sul mercato bond per 1,1 miliardi che vengono acquistati sul mercato da investitori spesso imbeccati dall’ufficio titoli della loro filiale. Nel 2002 Banca di Roma, nel frattempo diventata Capitalia, stcca la spina e Cragnotti arriva al capolinea. Il primo bond non rimborsato risale al novembre 2002, ma ci vorranno ancora alcuni mesi prima che il tribunale nell’estate del 2003 decreti il fallimento del gruppo. Prima della bancarotta, però, come ha ricostruito Bankitalia, l’istituto di Geronzi è riuscito a recuperare oltre 300 milioni dei propri crediti.

Adesso a oltre otto anni di distanza dal fallimento le schegge della sentenza finiscono per colpire anche Unicredit. La banca milanese che nel 2007 ha assorbito l’istituto presieduto da Geronzi, è stata condannata a pagare 200 milioni a titolo di risarcimento in solido con gli altri imputati condannati. Nel week end Unicredit si era visto bocciare un accordo transattivo raggiunto con l’amministrazione straordinaria di Cirio che prevedeva il pagamento di 150 milioni cash e in più la rinuncia a 250 milioni di crediti. I commissari di Cirio avevano chiesto oltre 1,2 miliardi. Una richiesta infondata in fatto e in diritto, si legge nel bilancio 2010 di Unicredit a proposito di questa richiesta di risarcimento. Il tribunale ha deciso diversamente e adesso Unicredit dovrà saldare il conto lasciato da Geronzi.

Da Il Fatto Quotidiano del 5 luglio 2011

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