Sting ha annunciato a sorpresa di aver cancellato il concerto che avrebbe dovuto tenere all’Astana Day Festival di Astana, la capitale del Kazakistan, per il compleanno del presidente Nursultan Nazarbayev. L’evento di quest’anno coincide anche con il 20esimo anniversario dell’indipendenza del paese dall’Unione Sovietica del dicembre 1991.

Il cantante ha rinunciato al concerto a causa della violazione dei diritti umani nei confronti dei lavoratori dei giacimenti petroliferi. Stando alla dichiarazione del suo portavoce Sting, famoso per le sue battaglie per i diritti umani sin dal 1981, ha preso questa decisione su consiglio di Amnesty International, che ha detto che il concerto sarebbe stato visto come un appoggio alla repressione contro i lavoratori scioperanti. Sting ha detto che l’azione del governo contro di loro è “inaccettabile”.

A maggio l’annuncio a sorpresa che Sting avrebbe esteso il suo Synchronicity World Tour in Kazakistan, ora l’annuncio della cancellazione all’ultimo minuto. Nell’ottobre 2009 infatti aveva tenuto un concerto a Tashkent, la capitale dell’Uzbekistan, un paese governato con un regime autoritario da Islom Karimov, accusato dalle Nazioni Uniti e da Amnesty International di violazioni e abusi dei diritti umani come la tortura istituzionalizzata e sistematica, la morte degli oppositori e la mancanza di libertà di stampa. Nonostante Sting avesse detto che credeva che il concerto in Uzbekistan fosse sponsorizzato dall’Unicef, era stato molto criticato per aver ricevuto il pagamento della somma da uno a due milioni di sterline da Karimov, specie dopo che l’agenzia dell’Onu aveva dichiarato di non avere alcuna connessione con l’evento.

Secondo la relazione 2011 di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani nel mondo in Kazakistan, il più grande paese asiatico, dopo la Federazione russa, nato dalla disgregazione dell’Unione Sovietica, la situazione dei diritti umani è molto simile a quella dell’Uzbekistan: nonostante le promesse dei governi di applicare la “tolleranza zero”, sono documentate torture e maltrattamenti in prigione e gli abusi da parte delle forze dell’ordine negli anni non sono diminuiti. A marzo 2010 Amnesty ha chiesto ufficialmente al governo al governo del Kazakistan di terminare gli abusi sistematici da parte della polizia che picchierebbe, prenderebbe a calci e soffocherebbe sul posto i sospettati. Lo stesso giorno Amnesty ha pubblicato una relazione intitolata “Kazakistan: niente tutela efficace contro la tortura”, in cui documenta la diffusione della tortura e altri maltrattamenti nelle prigioni del paese e la persistenza dell’impunità per queste azioni.

In Kazakistan una nuova legge entrata in vigore 1° gennaio 2010 ha escluso certe categorie dalla possibilità di chiedere asilo politico come rifugiati se nel paese di origine questi appartengono a movimenti politici o religiosi proibiti. La legge ha colpito in particolare i profughi musulmani uzbeki, che praticavano la loro religione in moschee non controllate dallo stato o che appartenevano a partiti proibiti dal governo. L’esclusione ha anche colpito i cinesi di etnia uigura, fuggiti dalle repressioni della Regione autonoma dello Xinjiang.

Il Kazakistan è un paese immenso, poco popolato – poco più di 16 milioni di persone – e un’economia molto florida, legata principalmente all’espansione del settore energetico. Dal 2010 il petrolio ha superato gli 80 dollari a barile e le materie prime – carbone, uranio, berillio, rame, piombo, stagno, zinco, argento e caolino – trascinate dalla domanda cinese, hanno conosciuto prezzi record. Nel 2001 è stata aperto il Caspian Pipeline Consortium, un oleodotto che si estende da Tengiz, la città del Kazakistan sul Mar Caspio, a Novorossiysk, il grande porto russo sul Mar Nero. Un altro grande investimento è l’oleodotto Kazakistan-Cina, quasi 2300 chilometri che vanno da Atyrau in Kazikistan, sulle sponde del Mar Caspio, fino ad Alashankou, sul confine dello Xinjiang cinese. Questa condotta è di proprietà della China National Petroleum Corporation e della compagnia del Kazakistan KazMunayGas.

I lavoratori delle aziende degli oleodotti e dei gasdotti scioperano da mesi in quella che è una delle rare sfide al governo centrale. Dagli inizi di maggio 700 lavoratori della KazMunayGas e i sindacati sono entrati in sciopero per rivendicare l’aumento del minimo salariale. Qualcuno di loro ha fatto anche lo sciopero della fame. L’altra settimana la KazMunayGas ha licenziato 250 lavoratori per inadempienza dei termini contrattuali, pare per assenteismo in seguito agli scioperi. “Scioperi della fame, lavoratori gettati in galera e migliaia di scioperi rappresentano un picchetto virtuale che non ho intenzione di oltrepassare”, ha dichiarato Sting.

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