Come diciamo spesso ai concerti, quando intoniamo la canzone del Signor G., noi non ci sentiamo italiani o meglio non ci sentiamo rappresentati da questi italiani.

La politica è morta con l’avvento della televisione, quando negli anni Settanta alla piazza si sostituisce la poltrona, che lentamente allontana in modo inesorabile la politica dalle masse. A partire dagli anni ’80, grazie al dilagarsi della corruzione, le competizioni elettorali e i partiti si svuotano progressivamente di significato politico sino al punto che negli anni ’90 si capovolge, anche, il rapporto tra politica e organizzazioni criminali, nel senso che ormai sono queste ultime ad avere il sopravvento, proprio perché il loro potere si fonda su uno stretto rapporto col territorio. Economicamente sono riuscite ad accumulare un enorme potere finanziario grazie al narcotraffico e agli appalti pubblici, mentre politicamente, attraverso i loro canali e il radicamento sul territorio, hanno organizzato il consenso elettorale dei politici e degli amministratori sino al punto, oggi, di arrivare al governo centrale.

Ecco che allora in modo inversamente proporzionale allo scadere della politica hanno acquistato sempre più peso personaggi e figure che non venendo direttamente dalla politica, sono stati capaci di riconquistare la fiducia delle persone avendo come garanzia la propria esperienza e storia personale, ritornando appunto a fare politica tra la gente. Basti pensare a Beppe Grillo, a Sonia Alfano – figlia di Beppe, ultimo cronista ammazzato dalla mafia –, che speriamo nel 2012 si candidi a sindaco di Palermo, al neo sindaco De Magistris che è riuscito, in modo trasversale, a mobilitare la cittadinanza attiva di Napoli, e a porsi contemporaneamente come alternativa sia alla destra, che al vecchio sistema bassoliniano, così come l’ex magistrato, oggi del tutto istituzionalizzato, Antonio Di Pietro. Liste civiche, movimenti e partiti “incazzati” che, sfruttando le possibilità offerte della rete e dai new media, cercano di dare una risposta al drammatico vuoto della politica italiana non senza una bella dose di romanticismo, idealismo e populismo. La politica come un serpente sta cambiando pelle per adattarsi ai nuovi tempi; ha capito che per riacquistare credibilità deve, rifiutare la propria istituzionalizzazione, e riportare l’arte della retorica al senso e al significato di polis.

Il degrado della politica ha finito, sempre più spesso, per delegare i propri doveri a giornalisti, scrittori, trasmissioni televisive e artisti. Gli unici ad avere ancora un appeal sulle nuove generazioni sempre più sfiduciate da un governo a dir poco vergognoso e lontano anni luce dai suoi bisogni e dai problemi reali del paese. Quindi non c’è da meravigliarsi se per il premier la sconfitta elettorale è da attribuirsi alla visione distorta che certi media e in particolare la trasmissione Annozero, hanno dato delle città in cui si votava. Una tesi sostenuta anche dal giornalista Luca Ricolfi su La Stampa, dove dichiara che, giudicando dai dati, sembra proprio che le elezioni siano state vinte dal cosiddetto partito di Santoro e dai suoi super ospiti. E ieri è arrivata l’ennesima conferma: salta il suo contratto con La7.

Santoro dichiara: “Siamo di fronte a una nuova, eloquente e inoppugnabile prova dell’esistenza nel nostro Paese di un colossale conflitto di interessi un accordo praticamente concluso, annunciato dallo stesso telegiornale dell’editore coinvolto, apprezzato dal mercato con una crescita record del titolo, viene vanificato senza nessuna apprezzabile motivazione editoriale. Naturalmente non possiamo fornire le prove dell’esistenza di interventi esterni, ma parla da solo l’interesse industriale che avrebbe avuto La7 a ospitare un programma come il nostro nella sua offerta” e conclude dicendo che l’Italia per tornare a crescere “deve liberarsi del conflitto di interesse e di tutti coloro che non hanno avuto il coraggio di opporgli le ragioni della libertà di opinione e della libertà di mercato”.

Ma perché Santoro fa così paura? Non per le cose che dice, o meglio non solo per quelle, ma per come le dice, infatti, anche la Gabanelli, così come Lerner e in parte Floris possono definirsi dei militanti dell’informazione, ma non hanno il suo successo. Santoro e il suo entourage parlano un linguaggio televisivo spettacolare, che li ha resi vere e proprie star, riescono a parlare alle masse e a far passare la “realtà”, attraverso la macchina dell’apparenza, senza che ne sia compromessa, ma anzi potenziata. Un vero e proprio esproprio proletario-televisivo.

Paradossalmente, Annozero, ha riesumato la politica attraverso il suo carnefice. Un successo avuto solo dalla trasmissione Vieni via con me che, pur senza una conduzione e una regia spettacolare come quella di Santoro & Company, grazie a Roberto Saviano è riuscita, in prima serata, a veicolare contenuti impensabili prima d’ora. Il successo che li accomuna non è un caso: lo stesso discorso fatto per Santoro vale anche per Saviano. Il bestseller Gomorra ha raccontato cose e fatti che in tanti già conoscevano e avevano raccontato, ma lo ha fatto con un linguaggio dirompente, nuovo, capace di arrivare a chiunque per sino ai ragazzi di “sistema” che non avevamo mai letto un libro in vita loro.

Quindi nell’era della globalizzazione e dell’apparenza vince chi riesce a parlare con i codici e i linguaggi di oggi, e cioè a “usare” la comunicazione per veicolare la merce più rara: la “verità” (come testimonia il successo de Il Fatto Quotidiano). Perdendo Santoro, non perderemo solo la possibilità di capire meglio il mondo che ci circonda e una voce libera per una seria e plurale informazione che tutti decantano ma nessuno difende (inquietante il silenzio della stessa opposizione che non volle risolvere, quando poteva, il conflitto d’interessi); ma perderemo la vera opposizione di questo paese. L’unica capace di rendere “patrimonio collettivo” storie che raccontano e mostrano una realtà che si vuole ad ogni costo nascondere.

Ma siamo fiduciosi perché il più grande contributo di Santoro all’informazione di questo paese è stato quello di rendere liberi i propri telespettatori, liberi di alzarsi Tutti in piedi dalle proprie poltrone per ritornare a far sentire la propria voce nelle piazze…

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