Cresce l’inquietudine dei comitati cittadini di Taranto in vista della conferenza dei servizi in programma il 5 luglio al ministero dell’Ambiente per il rilascio dell’Autorizzazione integrata ambientale (AIA) all’Ilva, passaggio fondamentale per il proseguimento delle attività nel più grande stabilimento siderurgico d’Europa.

Ad alimentare i sospetti delle associazioni sulla trasparenza con cui le istituzioni intendono affrontare la questione dell’impatto ambientale delle attività dell’acciaieria, è anche la notizia di un incontro fra esponenti del dicastero guidato da Stefania Prestigiacomo e i vertici dell’Ilva, proprio alla vigilia dell’eventuale approvazione dell’AIA. Una riunione a porte chiuse, nel corso del quale il gruppo Riva presenterà le proprie osservazioni sul parere espresso dalla Commissione istruttoria per l’AIA, che è diventata oggetto di un’interrogazione parlamentare da parte della deputata radicale Elisabetta Zamparutti. “È del tutto irrituale la convocazione di dirigenti dell’Ilva da parte del ministero, in zona cesarini, il giorno prima della tenuta della conferenza di servizi”, si legge in una nota a firma della deputata. “Il ministro eviti l’ennesimo favoritismo nei confronti del gruppo Riva e si confronti invece in maniera trasparente con chi affronta da tempo l’emergenza ambientale e sanitaria di Taranto”.

A chiedere l’annullamento della riunione è anche il coordinamento di cittadini, comitati e associazioni “Altamarea” che, nel corso di un incontro con il Presidente della Regione, Puglia Nichi Vendola, ha ribadito “il proprio assoluto dissenso su un parere istruttorio erroneo, ingannevole, inidoneo e del tutto inadeguato al rilascio dell’AIA”, bollando come “inqualificabile l’operato della commissione e le sue lungaggini” che avrebbero “permesso di fatto ad Ilva di continuare a gestire gli impianti senza apportare riduzioni effettive dell’enorme carico inquinante che grava sulla città e sui lavoratori addetti provocando direttamente o indirettamente danni alla salute”.

Scontata la posizione del coordinamento riguardo l’eventuale potenziamento delle attività dell’acciaieria: “Non deve essere autorizzata una capacità produttiva di 15 milioni di tonnellate/anno di acciaio contro un massimo effettivo raggiunto di circa 10 milioni di tonnellate/anno. Non devono essere autorizzate emissioni superiori anche di un solo grammo rispetto alla situazione attuale”.

Dopo le recenti polemiche sulle emissioni di benzo(a)pirene nell’aria, risultano intanto ancora fuori controllo le quantità di diossina immesse nel cielo di Taranto dalle ciminiere dello stabilimento.

Secondo i dati pubblicati dall’Arpa il 27 giugno scorso, gli ultimi campionamenti, effettuati senza preavviso all’azienda, nei fumi delle emissioni del camino E312 hanno rilevato la presenza di una quantità media di diossina e furani pari a 0,70 ng ITE/Nmc, quasi il doppio rispetto al limite di 0,40 ng ITE/Nmc fissato dalla normativa regionale.

Un dato che confermerebbe l’atteggiamento di sostanziale leggerezza con cui i vertici dell’accieria affrontano da anni la questione dei danni ambientali legati alla propria attività, come è emerso anche da una relazione depositata nei giorni scorsi dai Carabinieri del Noe alla procura di Taranto nell’ambito dell’inchiesta che vede attualmente indagati il presidente Emilio Riva, il figlio Nicola e alcuni dirigenti dello stabilimento per disastro colposo, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, avvelenamento di sostanze alimentari, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto di cose pericolose e inquinamento atmosferico.

Frutto di controlli compiuti su 120 giorni il dossier del Noe, corredato di foto e video, proverebbe il ripetersi di numerose anomalie nella gestione dei fumi e delle scorie di lavorazione dell’Ilva. “Duole constatare come il dibattito su inquinamento e industria sia sempre penalizzante per quest’ultima anche quando, come a Taranto, sono stati spesi negli ultimi dieci anni un miliardo di euro per la piena sostenibilità dell’impianto”, ha commentato l’Ilva.

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