Ha la schiena di bronzo. Vuol dire che viene a stendersi al sole di Villa Ada ogni giorno di questa vita. Ha intorno ai sessant’anni, una manciata di grano per i piccioni, due sandali francescani e un paio di bermuda da pescatore. Si chiama Renato. Cioè, non so se si chiami veramente così, però ha la faccia “da Renato”. In mezzo al petto ha una specie di nicchia, un’incavatura che sembra scolpita apposta dalla natura per appoggiarci un altro cuore, un cuore esterno. In realtà ha tutta l’aria di essere il souvenir di una vecchia operazione chirurgica.

Renato è immobile vicino al laghetto, in una posa che assomiglia a quella del discobolo di Mirone, solo che ha la mano protesa in avanti e lo sguardo fisso che cerca di ipnotizzare un piccione. Il volatile è lì a un passo, è ancora indeciso se fidarsi di quest’uomo o se il grano che brilla dorato nel palmo di quella mano non è altro che un’infida trappola che gli ghigliottinerà le zampe.

Mentre l’uomo e l’animale sono concentrati in questa reciproca seduzione, i miei occhi vagano sulla stuoia di paglia mezzo arrotolata alla base del tronco di una quercia da sughero. Tutto il bagaglio di Renato è ammassato su quella stuoia. C’è uno zaino della Lotto, una sedia da campeggio, un mazzo di chiavi e una rivista.

La rivista, in particolare, ha un nome da letteratura della crisi: si intitola Debiti. Il grande romanzo contemporaneo è tutto lì. Ha un’impaginazione approssimativa, solo testi, senza foto. Il sottotitolo è qualcosa del tipo Per ritornare finalmente a vivere. Assomiglia a uno di quei giornali di concorsi pubblici, o a una specie di Gazzetta Ufficiale dei sottosuoli. Non sapevo che esistessero riviste di questo genere. Non so un sacco di cose di come va il mondo. Non sono mai aggiornato sulle ultime novità. Io ero rimasto al tempo in cui la gente, per trascorrere una mattina in un parco di Roma, si portava Il Messaggero, o al più un giallo di Camilleri.

Oggi a quanto pare esistono queste nuove letture, moderne frontiere del no-stress. E in effetti Renato ha l’aspetto di un uomo tranquillo. Sarà per questo che il piccione, alla fine, protende il becco nel palmo della sua mano e pizzica via un chicco di grano. Sarà perché Renato, dopo il travaglio di una vita disgraziata, adesso sembra avere una prospettiva di pace dentro al cuore. O sarà perché ha quella nicchia nel petto che, agli occhi del piccione, suona amabilmente come un invito.

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