La copertina del romanzo "Verrai a trovarmi d'inverno", Hacca, 2011.

Fra i piacevoli doveri del mio dottorato in Italian Studies c’è il fatto di tentare di rimanere al corrente delle nuove e interessanti uscite di narrativa contemporanea italiana. Un dovere a cui tento di prestar fede leggendo circa un centinaio di libri all’anno ben sapendo che, alla fine, le cose vanno proprio come rispondeva Massimo Troisi all’originalissima domanda “Ti piace leggere?“, a cui lui rispondeva: “Gesù, piacere mi piace, ma chelli sono tanti a scrivere, e io sono uno solo a leggere…” Erano all’incirca gli stessi anni in cui Calvino forniva in Se una notte d’inverno un viaggiatore… la sua esemplare catalogazione personale nel momento in cui mette piede in una libreria.

Adottando la stessa catalogazione calviniana, nelle mie pile immaginarie (e in parte, ahimé, fisiche) di “Libri Che Da Tanto Tempo Hai In Programma Di Leggere” giacevano i due figlioletti di una certa Cristiana Alicata, romana della classe 1976. Si tratta di due romanzi: Quattro (2006), pubblicato dalla lillipuziana Il Dito e la Luna di Milano, e Verrai a trovarmi d’inverno (2011), edito dalla Hacca di Macerata. La prima particolarità di questi due ottimi romanzi è proprio di ordine editoriale: mi capita di rilevare come le più piccole realtà riescano a svolgere un lavoro di talent-scout più ficcante di quello delle grandi case editrici, con tutto che le piccole non hanno certo le strutture, i potentati (cosa differente dalle potenzialità) e i fondi delle grandi.

La seconda particolarità di Cristiana Alicata è che di professione fa la ingegnere. Il mondo degli ingegneri risulta relativamente alieno al mondo delle lettere, ma quando l’incontro si verifica, vengon fuori delle scintille che lèvati: Robert Musil e Carlo Emilio Gadda sono i due nomi di scrittori-ingegneri più famosi, senza dimenticare i colleghi chimici Primo Levi ed Elias Canetti, o il geometra Salvatore Quasimodo e, a livelli più popolari, il fisico nucleare Paolo Giordano. Classici a parte, dirò subito che il talento letterario dell’ingegnere Cristiana Alicata non ha nulla da invidiare a quello di alcuni dei nomi fatti qui su.

Se decidete di sceglierne uno fra i due titoli, il mio consiglio va senz’altro su Verrai a trovarmi d’inverno, benché anche il romanzo d’esordio, Quattro, sia uno splendido spaccato letterario molto originale e ben confezionato: è la storia di una normale famiglia di due mamme con due figli. L’abilità dell’Alicata sta nel descrivere appunto la normalità completa di questo genere di nucleo familiare poco ortodosso, con tutti i suoi difetti, i suoi problemi, i suoi tradimenti, le sue sfiducie, la sua incrollabile ricerca della felicità.

Ma la prova d’autore viene appunto con l’opera seconda. Verrai a trovarmi d’inverno intanto si presenta in modo perfetto, con un titolo meraviglioso e una copertina geniale, che testimonia la formidabile professionalità dell’ufficio grafico della Hacca, dove si è unita la lezione calviniana sulla leggerezza alle teorie decostruttiviste di Deleuze e Guattari. Se vi capita di entrare in libreria, prendete questo volume in mano e osservate quanto significato promana questa copertina, col suo piccolo ed essenziale vuoto al centro, giusto al posto del viso della loro Biancaneve dalla gonna a pois dispettosi e surreali. Un capolavoro. Ma come dicono gli inglesi: “Never judge a book by its cover” (Mai giudicare un libro dalla sua copertina): e se infatti dentro alla copertina non ci fosse stata la qualità letteraria che ci ho trovato, col picchio che starei qui a scriverne ora.

Verrai a trovarmi d’inverno è, semplicemente, quel che si dice un bel romanzo. Sul senso dell’essere, sul senso dell’amare, sul senso del saper ascoltare i sentimenti degli altri e sulla ricerca della propria identità. Un’identità fluida, che non si presta a essere immortalata a colpi di scalpello, ma semmai a essere dipinta da un pennello di quelli lunghi e fini, a piccoli e misurati colpetti dati nel punto giusto e al momento giusto. Anche qui abbiamo il tema delle famiglie di fatto, quelle reali che non piacciono al poveretto Giovanardi, ma che sono riconosciute dai Parlamenti dell’Occidente, del Sud America e di Città del Capo (e da ieri, anche dallo Stato di New York, ultimo arrivato in questa gara di civiltà che già vede l’Italia dietro al Terzo Mondo, come del resto accaduto nel secolo scorso per matrimonio interrazziale, aborto e divorzio). Proprio a causa dell’arretratezza dell’establishment politico italiano, il secondo lavoro di Cristiana Alicata è definibile come “romanzo impegnato”, poiché, per citare un famoso passo di Umberto Eco in Opera aperta, “il vero contenuto dell’opera diventa il suo modo di vedere il mondo e di giudicarlo, risolto in modo di formare, e a questo livello andrà condotto il discorso sui rapporti tra l’arte e il proprio mondo”. Lo sguardo di Verrai a trovarmi d’inverno sul mondo è dunque uno sguardo che va oltre l’hic et nunc della miseria socio-politica italiana, bypassa le polemiche alla Buttiglione&Bagnasco e va, appunto, oltre: parla di persone, di amori, di figli e famiglie che sono per forza di cose reali, e le tratta come fatti e personaggi quotidiani.

Come accade per le migliori opere di Pavese, non è qui la trama l’aspetto essenziale del romanzo. Trama che, intendiamoci, c’è ed è a mio modo di vedere più viva e ricca di grani di quella delle grandi penne liriche. Per paradosso, in Alicata la trama è anche forse troppo sviluppata, con un finale che suona esageratamente conclusivo e riepilogativo, quasi che l’autrice fosse ansiosa di stringere bene tutti i bulloni e abbia ecceduto in forza verso la fine, impedendo quel minimo di gioco alias alea che è spesso necessario. Quello che conquista del romanzo di Alicata sono i personaggi sfaccettati e credibili, e tuttavia molto, molto veri e originali. L’autrice mette in mostra la forza della sua ricerca narrativa dietro ogni professione, dietro ogni aspetto di ciascun personaggio, nonché l’ambientazione e le descrizioni, i frammenti lirico-narrativi che intervallano in modo calibrato i dialoghi. Non capita spesso di leggere un romanzo di una penna italiana contemporanea che sappia bilanciare così bene la compresenza di dialoghi e di narrazione. Alicata ci riesce, e così facendo stabilisce un ponte comunicativo e filosofico col lettore, che è un piacere percorrere e ripercorrere.

Della penna di Cristiana Alicata sentirete parlare molto, molto bene, nel prossimo futuro. E se non vi fidate del mio naso, date retta a quello degli anobiani: una media di 4 stelle e mezzo su cinque, non è cosa da tutti.

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