Nove mesi dopo il suo arresto, in Bahrain un tribunale militare ha condannato il blogger e attivista dei diritti umani Ali Abdulemam a 15 anni di prigione. Insieme a lui sono stati condannati, alcuni a morte, 21 attivisti e leader politici dell’opposizione con l’accusa di appartenere a organizzazioni terroristiche e di voler rovesciare il governo. Sono tutti sciiti, come a maggioranza sciita è stata la protesta dei mesi scorsi, che da tempo denuncia discriminazioni da parte della dinastia sunnita al potere.

I 22 arrestati erano noti per aver protestato conto il governo prima e durante i due mesi di disordini seguiti al “giorno della rabbia” del 14 febbraio scorso, che ha provocato un morto e 20 feriti negli scontri fra i manifestanti e la polizia del re Hamad bin Isa Al Khalifa. Otto di loro, come l’attivista e blogger Abduljalil Al-Singace, sono stati condannati a morte. Altri 13 hanno ricevuto sentenze che variano da uno a 15 anni. Fra gli attivisti che hanno ricevuto condanne più lievi c’è Ibrahim Sharif, leader dell’opposizione sunnita e segretario generale del maggiore partito laico di sinistra, il National Democratic Action Society, che è stato accusato da un quotidiano fedele al re di avere “rapporti con un paese straniero”.

I verdetti sono stati immediatamente contestati dai gruppi per i diritti umani come Reporter senza frontiere, Amnesty International e il Bahrain Center for Human Rights. “Il processo ha ovviamente una motivazione politica perché non c’è alcuna prova che gli attivisti abbiano usato o sostenuto la violenza”, ha dichiarato Malcolm Smart, direttore del Programma Medio Oriente e Nordafrica di Amnesty. Secondo Smart “dei civili non avrebbero dovuto essere processati da un tribunale militare e questi processi sono apertamente ingiusti. In particolare, la corte non ha adeguatamente indagato sulle dichiarazioni che qualcuno degli accusati è stato torturato ed è stato costretto a firmare delle confessioni false, che sembrano essere state usate come prove contro di lui”.

Amnesty riporta anche che sin dalle proteste di febbraio almeno 500 persone sono ancora detenute, 4 sono morti in prigione in circostanze sospette e altre 2.000 circa sono state sospese dal posto di lavoro o licenziate. Il 14 giugno l’organizzazione ha denunciato che la repressione è arrivata a processare medici e infermieri che medicano i rivoltosi.

Ali Abdulemam, padre di tre bambini, è conosciuto come “il padrino dei blogger” dopo anni di attività per i diritti umani nel paese attraverso il suo sito BahrainOnline.org, uno dei più popolari del regno. L’arresto del settembre scorso ha mobilitato migliaia di blogger da tutto il mondo, che hanno richiesto il rilascio di Abdulemam e degli altri attivisti. Il gruppo creato per lui su Facebook da Jillian C. York, direttore dell’International Freedom of Expression all’Electronic Frontier Foundation, conta quasi 2.066 membri ed è amministrato da attivisti proveniente da tutte le parti del mondo, dalla Spagna all’Egitto, gli Stati Uniti, la Siria e la Tunisia. La notizia è rimbalzata anche su Twitter.

Abdulemam è stato processato “in absentia” perché dopo il suo rilascio del 23 febbraio scorso è scomparso e né la sua famiglia né i suoi più stretti amici sanno dove si trovi.

FrontLine, il gruppo irlandese che opera in difesa degli attivisti per i diritti umani e conta nel direttivo anche il cantante Bono, il Dalai lama Tenzin Gyatso e i Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel e Desmond Tutu, nell’esprimere la protesta per la sentenza di morte contro l’ex Coordinatore per la Protezione per il Medio Oriente dell’organizzazione e membro del Bahrain Centre for Human Rights, Abdulhadi Al Khawaja, e per i 15 anni di prigione a cui è stato condannato Abdulemam, ha dichiarato che “il verdetto e il fatto che il processo sia avvenuto davanti a un tribunale militare, le cui procedure sono lontane dagli standard internazionali del ‘giusto processo’, sottolinea la determinazione del governo del Bahrain di assicurarsi a ogni costo una sentenza di condanna”.

In un incontro avuto agli inizi di giugno con il presidente Barack Obama il principe designato del Bahrain e comandante supremo dell’esercito Salman bin Hamad al-Khalifa ha promesso di cercare attivamente la via del dialogo nazionale con gli autori delle proteste.

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