«Questa moschea s’ha da fare!». Parola di Paolo Portoghesi. L’architetto della moschea più grande d’Europa, quella di Roma, entra a piè pari nel dibattito milanese. Fino a oggi, molta cosmesi. Ormai le vette della politica nostrana si stagliano in rarefatte, inimmaginabili operazioni di maquillage. Ci sono polemiche su alcuni temi che andrebbero discussi, affrontati e dibattuti, con verve e coraggio. Invece spesso non sono altro che un trucco, abbellimenti della realtà a uso dei tele-elettori. Se ne parla, senza troppa cognizione né convinzione, per fini propagandistici. Come un fondotinta a coprire le rughe, così gli argomenti vengono mascherati e ridotti a mera questione di campagna elettorale. È il caso della costruzione della moschea milanese. Un tema serio, che con serietà andrebbe discusso. Per non lasciare che il dibattito pubblico si riduca alla paura e all’ignoranza. Come è successo in Svizzera, con il referendum per vietare la costruzione dei minareti. «Quello è stato un atto di inciviltà veramente incredibile», ci dice l’architetto che più di ogni altro si è occupato della costruzione di luoghi sacri. E di moschee se ne intende. Oltre quella di Roma, ha appena terminato quella di Strasburgo, che sarà inaugurata ad agosto con l’inizio del Ramadan. Un interesse nato già all’inizio degli anni Ottanta, quando presiedeva la Biennale di Venezia: in quella veste organizzò due mostre che, in qualche modo, fecero epoca. La prima, appunto, sull’architettura dell’Islam. La seconda, sullo spazio sacro nelle tre religioni monoteistiche. Un interesse allora per nulla scontato. «Lo scelsi coscientemente – ci dice l’architetto – perché il riconoscimento alla libertà religiosa è un aspetto fondamentale della cultura europea. E le costruzioni religiose hanno un’importanza fondamentale nella storia dell’architettura».

Un tema che è tornato di forte attualità: non solo per l’architettura, ma anche e soprattutto per le sue implicazioni sociali e politiche.
La costruzione di un luogo di culto è sempre un simbolo di civiltà. Le religioni hanno una loro funzione, diversa da quella della cultura che deve essere essenzialmente laica. Le religioni rendono conto dei problemi così detti “ultimi”, presenti in ogni essere umano, e si esprimono in varie tradizioni. Credo perciò che un’esigenza fondamentale del nostro tempo sia quella di creare una pacifica coesistenza di religioni diverse, nel rispetto reciproco.

Nessuno si azzarda oggi a mettere in discussione la libertà religiosa nelle moderne democrazie.
In effetti abbiamo fatto molti passi in avanti.

Eppure quando si parla di Islam, oggi, iniziano a storcersi i nasi. Pure a Strasburgo è successo lo stesso?
Per nulla. A Strasburgo convivono molte religioni, e la presenza di cittadini musulmani è massiccia. La moschea è stata costruita in un luogo meraviglioso: un terreno sul bordo del canale che unisce il Reno al Rodano. Un paesaggio straordinario, che è stato assegnato da una commissione composta da rappresentanti di tutte le religioni praticate in città. Siamo di fronte all’esemplarità: tutti l’hanno accolta favorevolmente, e si è cercato un luogo non per nasconderla, ma per renderla visibile e darle tutto lo spazio necessario.

Una situazione idilliaca…
A dire il vero qualche problema poi c’è stato. Ma solo di carattere amministrativo: inizialmente dovevano esserci anche spazi di aggregazione, oltre quello di preghiera, ma quando subentrò un’amministrazione di destra, bloccò il progetto. Poi finalmente con la nuova giunta progressista si è risolto, e questi spazi verranno costruiti – non lì, ma altrove.

E nessuno ha avuto da ridire sullo spauracchio, così tanto paventato, della “minaccia islamica”?
Credo che fra le religioni esistono le premesse per il dialogo. E là dove c’è, come a Strasburgo, questo dialogo è davvero fruttuoso. Del resto siamo portati a considerare l’Islam una religione intollerante soltanto per un pregiudizio. È falso. Allarghiamo la visione dalla religione pura e semplice al pensiero religioso: nel mondo islamico esiste anche la cultura sufi, molto vicina alla modernità, aperta alla tolleranza e alla comprensione reciproca – si parla addirittura di un superamento delle religioni all’interno della religione. Tutto questo lo ignoriamo. Non conosciamo la storia, altrimenti sapremmo che Maometto era estremamente tollerante. L’idea che le moschee siano “covi del terrore” è una lettura assurda e senza fondamento. La religione islamica è una religione pacifica: certo, individua anche il momento della guerra, ma lo fa all’interno di un tradizione che è quella ebraica – alla quale peraltro apparteniamo anche noi. Nel Corano c’è un tono di carattere umanitario così pervasivo che chiunque lo legga non può che rendersene conto. Poi c’è anche qualche caso isolato, come quell’imam milanese che predicava il conflitto. Ma sono abusi, presenti ovunque.

In occasione della costruzione della moschea a Roma ci furono polemiche?
Beh, a un certo momento fummo minacciati di morte, sia io che Giulio Carlo Argan, l’allora sindaco di Roma che l’appoggiò fortemente. Una parte dell’opinione pubblica fece ricorso al TAR contro l’iniziativa, e così dovemmo attendere quattro anni affinché il comune facesse un piano particolareggiato. Ricordo che Andreotti, sempre molto cauto, appoggiò questa attesa per far placare gli animi. Ma il ritardo creò non pochi problemi ai finanziatori della moschea, visto che nel frattempo il petroldollaro scese molto di valore. Ma la seconda fase della costruzione fu realizzata in un clima positivo, senza reazioni forti.

In effetti oggi è considerata un esempio molto riuscito.
Direi di sì. Le polemiche e le incomprensioni iniziali erano della destra massimalista di stampo cattolico, nonostante dopo il Concilio il dialogo fra le religioni divenne quasi un obbligo e nonostante il Papa, Paolo VI, avesse dato l’autorizzazione alla costruzione.

In quegli anni l’Italia praticava una politica estera filoaraba. E poi c’era il forte appoggio di Craxi, nonché quello del presidente Pertini…
Ricordo quando Pertini venne alla posa della prima pietra: al di fuori di qualsiasi etichetta abbracciò l’allora presidente del centro islamico che era un principe persiano, un certo Amini.

Ma vi fu soltanto una volontà, politica, dall’alto? Oppure c’era anche la volontà della società civile?
Credo che fu una coincidenza fra le due volontà. Quella politica, i cui esponenti principali erano evidentemente Andreotti e Craxi, ma anche quella della società italiana, ampiamente favorevole. Soltanto alcune frange estremistiche non la volevano. Furono addirittura fatti alcuni sondaggi. Uno fra gli ebrei della comunità romana: la maggioranza si espresse a favore. Le opposizioni erano soltanto minoranze.

Oggi la moschea è considerata parte della città?
Direi proprio di sì. Non è solo una sala di preghiera, ma ha intorno una serie di altre cose: una grande biblioteca, un centro culturale, un centro espositivo, abitazioni per il personale, una sala conferenze, aule scolastiche. Insomma, è stata pensata sulla base della tipologia classica delle moschee della tradizione islamica, che non sono mai edifici isolati.

E come fu accolta dai musulmani romani?
Direi molto bene: da quel momento avevano a disposizione non solo un luogo per pregare, ma anche per sentirsi un po’ a casa propria. Uno spazio dove poter esprimere, diciamo così, il loro “legame” con la patria. Quando c’è il Ramadan, intorno alla moschea si riempie di banchetti dove è possibile comprare la carne macellata secondo i rituali della macellazione islamica, oppure i dolcetti delle loro tradizioni. Per un momento si crea un pezzo di città islamica. Questo mette in rilievo la positività, certo. Ma anche i limiti della moschea di Roma: Anche se ha alcuni limiti: essendo stata pensata in un luogo neutro, in mezzo al verde, per non incidere sulle pagine della città, si trova lontana, distante da dove risiedono i cittadini di religione islamica. Forse da un punto di vista urbanistico sarebbe stata collocata bene nella zona di piazza Bologna, dove c’è un alto tasso di residenti di fede islamica. In questo senso una delle critiche che fu fatta era quella di dire: perché una sola grande moschea e non cinque o sei distribuite in tutta la città?

Lo sa che è proprio uno degli argomenti d’opposizione alla moschea di Milano? Dicono appunto che sarebbe meglio farne diverse, piccole, così più controllabili e soggette al vaglio della polizia.
Mi sembra una scusa insignificante. C’è la paura che la religione islamica diventi un’immagine concreta. È ovvio che se si distribuiscono in periferia i cittadini di Milano non si accorgeranno nemmeno esistono queste moschee. Invece il ragionamento è l’opposto: la città ha diritto che questa sua apertura verso un’altra religione sia visibile. Deve avere un’immagine forte. È nell’interesse della città che questi valori sociali si esprimano attraverso l’architettura.

Per ora le uniche immagini forti che abbiamo sono quelle dei fedeli che pregano per strada…
Spesso le persone sono costrette a pregare in un garage. Devono cercare l’orientamento verso La Mecca in contraddizione con l’oggetto dentro al quale si trovano. È importante che le moschee siano fatte ad hoc, non siano luoghi trasformati: a Palermo hanno preso chiese sconsacrate, hanno messo una nicchia di traverso, e hanno detto: ecco, questa è una moschea. Incivile! In una terra dove le moschee ci sono state davvero, anche se poi sistematicamente distrutte.

Un altro argomento degli oppositori alla moschea di Milano è il seguente: se noi volessimo costruire una chiesa in un paese islamico non ci sarebbe permesso.
La solita cantilena! Alla quale rispondo: in questi paesi una chiesa esiste già! Nella maggior parte di paesi islamici le chiese ci sono. Non solo tollerate, ma considerate come facenti parti del tessuto stesso della città. Per esempio in Algeria, paese islamico considerato per certi aspetti fondamentalista: la cattedrale di Algeri è un edificio considerato da tutti gli algerini come  parte integrante della città. Naturalmente questi paese dove convive la religione cristiana con l’islam sono di solito paesi che sono stati colonie europee (nei quali c’è stata la colonizzazione occidentale). C’è poi il caso dell’Arabia Saudita, quello sì è effettivamente scandaloso. Lì è proibito addirittura dire una messa, pur essendoci moltissimi operai che lavorano lì e non hanno il diritto alla libertà religiosa. Loro adducono una ragione che sarebbe quella che lo stato ha come funzione dominante la conservazione della memoria di Maometto, quindi è uno stato come la Città del Vaticano e quindi uno stato dal carattere religioso. Il che non vale, il Vaticano è una piccola aerea dove ci sono poche residenze, mentre Riad è una città internazionale, dove vivono persone di tutte le estrazioni sociali e di tutte le etnie. Quindi forse si può accettare l’idea che alla Mecca non possano entrare persone che non professano le religione islamica, ma questo non giustifica che nelle città dell’Arabia Saudita ci sia una tale intolleranza verso le altre religioni. Mi auguro che questo finisca. Forse è una delle poche ragioni obiettive dell’opposizione argomentativa. Ma va limitata perché spesso sulla base anche degli errori dei giornalisti l’opinione pubblica è convinta che nei paesi islamici non ci sia libertà religiosa, ma è falso, ce ne sono moltissimi.

Come dovrebbe essere secondo lei la moschea di Milano?
Non si può fare una moschea senza guardare alla storia. Anche se il compito è quello di filtrarne i valori attraverso la modernità. Per dirla con Mahler, “bisogna sentire il fuoco, e non ammirare le ceneri”. Custodire il fuoco della tradizione. E per farlo è necessario “sentire” il luogo, ascoltarlo: chi dovrà affrontarla, dovrà costruire una moschea milanese.  Che vuol dire tenere conto allo stesso tempo della tradizione islamica e della tradizione della città. Fra l’altro Milano ha una grande tradizione, sia nell’antico che nel moderno.

Insomma, la moschea non solo va fatta, ma che sia “milanese” e visibile alla città. Qualche altro consiglio a Pisapia?
Gli direi di seguire il criterio del concorso, come è stato per Roma: è qualcosa che coinvolge la cittadinanza, provoca un dibattito. La costruzione della moschea diventerebbe così un evento culturale molto importante per la città. Mi auguro che ci sarà presto questo concorso.

Se ci sarà il concorso, parteciperà?
Sicuramente!

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