“La sventurata rispose”. La celeberrima ellissi manzoniana conclude uno dei testi selezionati per il saggio breve di ambito artistico-letterario. Come Gertrude, la monaca di Monza, gli studenti sono entrati a scuola come agnelli sacrificali, i lineamenti quasi evanescenti, le gambe improvvisamente divenute incapaci di rispondere coerentemente agli stimoli neurologici. Le reazioni più diverse: tentano di sorridere, non alzano lo sguardo da terra, fumano affannosamente, ridono, piangono, si tengono per mano, improvvisano una crisi di panico, fanno battute, si chiudono in un tetro mutismo: “Per me si va nella città dolente, per me si va nell’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente”.

La scena è quella tipica di una scuola che vive nel mondo del Web 2.0. Immaginate una fila di banchi, con un unico occupante. Sono gli stessi presso i quali si sono seduti per 5 anni, ora disposti non più all’interno di un’aula, ma lungo i corridoi della scuola. La loro scuola. Immaginate una lavagna (rigorosamente di ardesia) davanti a quella smisurata fila di postazioni improvvisate: orario di apertura busta… orario di consegna. A ricordare a tutti i maturandi il tempo che hanno a disposizione per concludere la prova. Le buste – i plichi, come sono designate – arrivano con la stessa cautela, solennità e rapidità con cui nei film si consegna l’organo espiantato, urgente da reimpiantare, delicato da manipolare. Plastificate, contengono il prezioso blocchetto di fogli su cui il commissario o il presidente si affanneranno a scrivere “originale”, nonostante sia – come tutte quelle che verranno fatte in seguito, da consegnare ai candidati – una semplice fotocopia – caso tipico di transustanziazione. La busta viene aperta con forbici appositamente preparate, come gli elettrodi inumiditi per la testa e i polpacci del condannato in un caso di esecuzione sulla sedia elettrica. Ma, ad aumentare la solennità dell’evento, la procedura della cesura della busta è preceduta dal suggello dello sguardo disorientato dell’alunno sorteggiato a svolgere il rituale compito del controllo dell’integrità del prezioso contenitore. Silenzio generale.

La mente di un’insegnante democratica (commissario interno, quest’anno, di un’amata classe di liceo classico) non può evitare di correre, anno dopo anno, a quel 65% di studenti cui almeno due delle tipologie di prova (analisi del testo e saggio breve) sono sostanzialmente inibite: quelli che frequentano l’istruzione tecnico-professionale; programmi (e pratiche didattiche) alla mano, la dimestichezza con un’analisi tecnico-stilistica di un testo letterario per quei ragazzi è pari alla nostra capacità di analizzare le fasi della lavorazione di un tappeto Bukhara rispetto ad un Kilim: zero. Due designati dal presidente si affrettano a conquistare la prima posizione presso la macchina delle fotocopie dell’istituto, per provvedere alla riproduzione per ciascun alunno dei 7 fogli contenenti le tracce. E l’ultimo paga pegno.

Una sceneggiatura davvero adatta alla continua evocazione che – proprio in quei fogli, puntualmente, quasi tutti gli anni e anche quest’anno – si fa delle tecnologie, sempre – a dispetto dello scorrere dei lustri – “nuove”. Le ore per lo svolgimento sono 6. E loro, gli studenti – bravi e pazienti in modo inusitato e irripetibile – attendono la consegna delle fotocopie, che potrebbero arrivare subito o dopo mezz’ora, considerato che le commissioni sono 4 e la fotocopiatrice a disposizione della scuola una sola. Riscaldano le loro penne a inchiostro. Guardano i loro fogli – protocollo (chissà se qualcuno dei presenti ha un’idea del perché si chiamino così) tutti timbrati (sì, con il timbro, uno per uno) e siglati (sì, con la penna, uno per uno) da uno dei commissari. E quando qualcuno abbia bisogno di più dei tre fogli datigli “in dotazione” all’inizio della prova, la prassi prevede che venga annotato un “+1, +1, +1…” vicino al nome del candidato.

Curioso – un po’ divertente, un po’ malinconico – girare nelle prime ore del mattino tra i vari siti studenteschi che contengono file interminabili di messaggi accorati, disperate richieste di aiuto, Sos improvvisati e drammatici: la necessità di comunicazione, di visibilità esterna, caratterizzata da quel codice stitico e accorciato, fatto di troppi “ke” (che) e troppi “x” (per), è la stessa cui allude uno dei temi.

Consueta la malinconica prassi della spoliazione dalla spesso stupefacente dotazione tecnologica tipica del diciannovenne, quotidianamente fornito dei più tecnologicamente sofisticati e recenti gadget (palmari, smartphone, iPhone, iPod touch). In questo caso è il soggetto stesso che, al cenno del commissario di riporre l’arsenale digitale sulla cattedra, provvederà sua sponte ad alleggerirsi del proprio gravoso carico, dai più fantasiosi display. I miei sono stati modesti e accorti: solo semplici cellulari, oggi.

Quest’anno il ministero sembra averci risparmiato il tradizionale inciampo (per usare un eufemismo) sulle tracce della prova: ricordo i clamorosissimi Dante e Montale di anni fa, quando le indicazioni degli “inesperti” del ministero depistarono con clamorose indicazioni errate l’analisi del testo. Ungaretti ancora una volta, la terza in pochi anni: poco male, il ‘900 è stato il nostro pane quotidiano. E poi amore e passione, Enrico Fermi, il secolo breve, il re per una notte nella generazione dei talent show e dei social media. La “novità” è la traccia del saggio breve di ambito storico e politico: destra e sinistra. Si vede che il berlusconismo è in crisi…

In bocca al lupo, ragazzi.

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