Nel 2007 Manlio Cerroni, proprietario della discarica di Malagrotta e monopolista dello smaltimento della spazzatura di Roma e del Lazio, ha ottenuto da Piero Marrazzo, ex presidente della Regione Lazio, il permesso per costruire un termovalorizzatore da 40 Megawatt nella sua discarica di Roncigliano, a pochi chilometri da Albano Laziale. In seguito all’annuncio di un’emergenza imminente a causa dell’esaurimento della volumetria della discarica, Marrazzo (allora Commissario straordinario per la gestione dei rifiuti), concesse senza battere ciglio (e senza gara d’appalto) l’autorizzazione alla Co.E.Ma, il consorzio guidato dal re della monnezza.

In quei giorni un gruppo di ragazzi di Albano si è messo in moto per proteggere il proprio territorio dagli interessi di uno degli uomini più potenti del Lazio. Il Coordinamento contro l’inceneritore di Albano è nato dal basso, da cittadini semplici, senza l’appoggio di istituzioni e partiti; ha cominciato a riunirsi una volta a settimana, decidendo le sue azioni con votazioni a maggioranza semplice, per alzata di mano. Sono arrivate prima le assemblee pubbliche e le manifestazioni, sempre più partecipate, poi la raccolta dei documenti per presentare il ricorso al Tar e fermare la costruzione dell’impianto.

Il 15 dicembre 2010 il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha dato ragione ai cittadini e ha bloccato l’inceneritore di Cerroni: la valutazione dell’impatto ambientale (presentata dall’azienda stessa) non è stata considerata attendibile. La sfida del Coordinamento non finisce qui: la Co.E.Ma ha presentato ricorso contro la sentenza e la parola passa al Consiglio di Stato. All’azienda di Cerroni si è affiancata la regione Lazio: nelle stime del piano rifiuti della giunta Polverini viene tuttora dato per scontato il funzionamento dell’impianto di Albano.

Il termovalorizzatore si alimenta con il Cdr, le “ecoballe” di rifiuti solidi urbani, composte da carta, plastica e legno. Materiali completamente riciclabili. La regione Lazio che ha presentato di recente un progetto per portare la raccolta differenziata al 60 per cento entro fine anno (oggi si trova al 20 per cento secondo le stime più ottimistiche), allo stesso tempo punta sullo sviluppo degli inceneritori che, per produrre energia, bruciano quegli stessi materiali che dovrebbero essere riciclati.  La combustione dei rifiuti produrrebbe 12 mila tonnellate all’anno di Carbon coke, secondo i calcoli di chi ha progettato il termovalorizzatore. Oltre a cloro, metano e diossina. Per finire, l’impianto di raffreddamento dell’inceneritore richiederebbe un consumo di 28 mila litri di acqua potabile l’ora, in un territorio, quello dei Castelli Romani, afflitto da una crisi idrica prolungata e senza precendenti.

La centrale progettata da Manlio Cerroni non è l’unica minaccia che grava su Albano, un territorio in cui l’Asl competente ha registrato un eccesso di mortalità superiore al 50% per malattie respiratorie e polmonari. Il re dei rifiuti ha ottenuto dalla Regione anche l’autorizzazione per ampliare la discarica di Roncigliano. Il prossimo invaso, il settimo, dovrebbe smaltire i rifiuti dei castelli per i prossimi dieci anni. E contribuire alla pessima qualità della poca (acqua) della zona. Le rilevazioni dell’Arpa hanno certificato un aumento progressivo della concentrazione di arsenico e cloroformio nelle falde sotterranee della discarica: nell’ultima verifica, del 2011, entrambi i materiali superano i limiti di legge. Lo sbanco esterno del settimo invaso è separato dall’abitazione più vicina da meno di 100 metri. Alcuni cittadini fortunati potranno buttare la spazzatura direttamente in discarica. A meno che il Coordinamento contro l’inceneritore di Albano non riesca a vincere anche questa battaglia: la decisione del Tar sul ricorso è attesa il 14 luglio.

di Tommaso Rodano

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