Ci vorrebbero cento ore di Blob per rivedere quante migliaia divolte, con quanti milioni di parole e sorrisi è stato ripetuto da Silvio Berlusconi e dai suoi zelanti dipendenti che il governo si fondava sulla sacra “investitura popolare”. Che il potere discendeva in linea diretta “dal popolo sovrano”. Che tutte le leggi approvate con la procedura totalitaria della fiducia erano l’esercizio legittimo della maggioranza. E che le piccole e le grandi vendette normative contro gli avversari (gli insegnanti, i magistrati, gli investigatori, l’informazione) venivano adottate grazie a quel consenso indiscusso, indiscutibile, che il popolo degli italiani gli aveva attribuito nel rito delle urne.

Un legame di sangue diretto, univoco, mistico, che ha consentito al premier finanche l’aberrazione di sentirsi ingiudicabile “da semplici impiegati dello Stato”, che esercitano la giustizia “per aver vinto un concorso”. “La mia carica e il mio consenso – diceva – mi danno il diritto di essere giudicato solo dai miei pari”. Intendendo per pari, non tanto i senatori e i deputati, ma proprio il Sacro Tribunale del Popolo e della Storia. Ora che la sentenza è arrivata: tocca avvertire i tribunali veri.

Il Fatto Quotidiano, 15 giugno 2011

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