Chiunque ha vissuto in Inghilterra leggendo un giornale avrà notato le differenze con la stampa italiana. La separazione tra articoli d’informazione e d’opinione, tra le news e la features section, tipica del modello inglese è forse la più nota ma non l’unica.

Andrew Knight, ex giornalista televisivo e di carta stampata, e docente di giornalismo alla London School of Journalism, mi ricorda come a essere diversi sono in primis i contesti politici. “L’Inghilterra ha avuto tre secoli per garantire principi come la libertà d’espressione e di stampa alla base del proprio sistema democratico, un lusso che paesi che hanno alle spalle 60 o 70 anni non si sono potuti permettere”.

Il diverso scenario politico in cui i due modelli presero forma è una premessa necessaria, ma che non basta a capire le caratteristiche che li differenziano oggi.

Nei primi anni del XX secolo l’industria giornalistica inglese puntò su una diffusione di massa dei giornali, e sul passaggio dalle vendite alla pubblicità come principale fonte di finanziamento. L’accuratezza e la completezza delle informazioni furono cruciali per raggiungere un pubblico di massa, ma anche per affermare la credibilità di cui i giornali godono oggi.

In Italia la forte politicizzazione della stampa, e un’industrializzazione guidata da imprenditori estranei all’editoria marginalizzò il tema dell’obiettività delle notizie, di cui si iniziò a parlare solo dalle contestazioni del 1968. I giornali italiani hanno inseguito più obiettivi politici che di mercato, e ancora oggi parte delle rivelazioni ritenute sconvolgenti sono raccolte in ambienti ufficiosi, diffuse come notizie e già pronte per essere smentite.

L’impronta del mercato sui quotidiani inglesi si nota in una certa spettacolarizzazione delle notizie, ma anche in termini di varietà delle informazioni e punti di vista, e del taglio degli articoli mirato a raggiungere lettori diversi per età, strato sociale, ed orientamento politico.

Se sei un giovane di sinistra e fai parte della middle class leggi il Guardian, se sei intorno ai 50 e di centrosinistra l’Independent. Se sei un over 50 di destra, simpatizzi per la famiglia reale, e ti piace lo sport compri il Telegraph. Se sei tra i 35 e i 45 anni e sei più di centro che di destra preferisci il Times. Se sei una donna in carriera con valori conservatori compri il Daily Mail. Se appartieni alla working class e sei di sinistra leggi il Mirror, se sei un operaio di destra il Sun.

Ogni giornale ha un proprio pubblico ben definito al quale si rivolge, e al quale guardando alle vendite sembra saper parlare. In Inghilterra, come riporta il Guardian, una persona su quattro compra tutti i giorni un giornale, si vendono 12.5 milioni di copie su una popolazione di 50 milioni di abitanti.

In Italia secondo una stima di Audipress, riportata in un post di Beppe Lopez, le copie vendute ogni giorno sono 5.5 milioni su una popolazione di 60 milioni di abitanti, per una media di una copia acquistata ogni 11 persone.

Non è semplice capire perché gli italiani leggano meno. Di certo, come dice ancora Andrew Knight, “l’autocompiacimento e l’autoreferenzialità sono le più pericolose delle minacce alla libertà di stampa, se le persone per strada ritengono che l’informazione non sia importante nella propria vita i giornali dovrebbero preoccuparsi”.

I giornali italiani se ne preoccupano? Secondo me se ne preoccupano solo in parte. Comunque meno degli inglesi, che al contrario dei giornali di casa nostra (tranne rare eccezioni) non ricevono alcun finanziamento pubblico, e basano la propria sopravvivenza esclusivamente sulla pubblicità e le vendite.

di Andrea Tancredi, giornalista freelance a Londra
andreatancredi.co.uk

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