Licenziata con una raccomandata, reintegrata con un sms. E’ la storia assurda, ma reale, di Maurizia e di alcuni dipendenti di Italia Lavoro, l’ente del ministero dell’Economia che si occupa di occupazione e inclusione sociale.

Licenziati alcune settimane fa, dopo una dura battaglia hanno parzialmente risolto i loro problemi. Ciò nonostante sono ancora in campo per chiedere giustizia e rispetto per le loro professionalità. Per questo motivo hanno dato vita al comitato “Mission tradite”, che denuncia l’utilizzo del precariato all’interno di strutture pubbliche e delle aziende in house di ministeri e delle regioni.

All’inizio del mese di aprile, Maurizia, dopo 6 anni di contratti precari, si è vista recapitare a casa una lettera di licenziamento da parte dell’azienda.

La stessa lettera è arrivata ad altri 16 colleghi. Qual’è la loro colpa? Quella di aver impugnato, una volta entrato in vigore il “Collegato lavoro”, il proprio contratto precario che, come spesso accade, nasconde un rapporto lavorativo dipendente. La legge prevede infatti un tempo massimo di 60 giorni per far causa ai datori di lavoro in caso di irregolarità.

A quel punto, i dipendenti di Italia Lavoro, per non veder tramontare i diritti acquisiti con il loro lavoro parasubordinato si sono limitati, come consigliato dai sindacati, a mandare una lettera al datore di lavoro per tutelarsi. Uno stratagemma legale per aggirare il termine dei 60 giorni.

Quel provvedimento, però, dopo la battaglia di sindacati e opposizioni è stato rinviato di un anno con il decreto Milleproroghe.

Tutto finito, quindi? No perché i lavoratori che avevano deciso di tutelarsi si sono trovati fuori dall’azienda.

“Per paura di ritorsioni – spiega un dipendente – abbiamo aspettato fino all’ultimo momento per mandare la lettera”. Poi il 21 gennaio, a due giorni dalla scadenza del termine fissato dalla legge, abbiamo deciso di tutelare i nostri diritti”.

Inesorabile scatta la risposta dell’azienda. Prima nei confronti di chi aveva il contratto in scadenza, che, anche dopo 6 anni di lavoro, non è stato rinnovato. Poi, nei confronti dei dipendenti che, come Maurizia, hanno ricevuto una raccomandata che comunicava il licenziamento in tronco.

Da lì inizia la battaglia. I lavoratori hanno deciso di dar vita ad un collettivo, il “comitato dei licenziati e licenziati”, raccontando la loro storia su un blog: italiasenzalavoro.blogspot.com

Alla fine di aprile decidono, con l’appoggio della Nidil e Fisac CGIL, di manifestare davanti alla sede della loro azienda. Senza risultati. Decidono allora di andare al Cnel, dove proprio quel pomeriggio è atteso il ministro del Welfare Maurizio Sacconi.

I dipendenti intervengono quando il ministro sta per prendere la parola e raccontano la loro vicenda.

Il giorno dopo, Sacconi auspica un incontro tra sindacati e vertici di Italia Lavoro. E arriva la prima buona notizia. I dipendenti ai quali era stato rescisso il contratto vengono reintegrati. Con il loro contratto precario, con tanto di data di scadenza a novembre 2011.

Al tavolo con il sindacato si era parlato di un reintegro senza condizioni, ma l’azienda si è comportata diversamente. I lavoratori sono stati convocati uno ad uno per sottoscrivere una lettera di reintegro in cui veniva richiesto di riconoscere la natura giuridica della collaborazione del contratto in essere. Insomma, un reintegro senza condizioni, si stava trasformando in un nuovo out-out. I sindacati e gli avvocati hanno consigliato ai lavoratori di firmare la lettera per ricevuta con riserva dei propri diritti sulla natura giuridica del contratto, cosa che, eventualmente, dovrà essere discussa nelle sedi competenti.

Dopo aver raggiunto questo primo obiettivo il comitato non si arrende. Chiedono trasparenza nella logica delle assunzioni, un piano di stabilizzazione con regole certe, ovviamente nel rispetto del patto di stabilità. Il reintegro degli altri lavoratori non rinnovati e la creazione di un bacino di prelazione per chi ha già lavorato ad Italia Lavoro.

di Marco Esposito

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