Il boss Totò Riina è stato assolto dall’accusa di essere il mandante e l’organizzatore del sequestro e dell’omicidio di Mauro De Mauro. La sentenza è stata emessa dalla Corte d’Assise di Palermo, presieduta da Giancarlo Trizzino, a oltre 40 anni dal rapimento del giornalista del quotidiano ‘L’Ora’ di Palermo, prelevato sotto casa la sera del 16 settembre 1970. I giudici. dopo dieci ore di camera di consiglio, hanno respinto la richiesta del carcere a vita fatta al termine della requisitoria dal pm Antonio Ingroia. Ad assistere alla lettura del dispositivo la figlia di De Mauro, Franca. Il suo matrimonio era previsto all’indomani del rapimento del padre, il cui corpo non è mai stato ritrovato. “E’ una vergogna di 41 anni”, è il commento della donna, che si dice “molto turbata per questa conclusione”.

Oltre all’assoluzione per Riina, unico imputato del processo, la Corte ha deciso di trasmettere gli atti al pm perché proceda per falsa testimonianza nei confronti di alcuni teste del processo: l’ex funzionario del Sisde, Bruno Contrada – che sta scontando 10 anni di reclusione per mafia -, dei giornalisti Pietro Zullino e Paolo Pietroni e dell’avvocato Giuseppe Lupis. Gli ultimi tre, secondo i giudici, hanno avuto collegamenti con i servizi segreti, giocando un ruolo nel depistaggio delle indagini. “E se i depistaggi su mio padre fossero dello Stato?”, è la domanda che si pone Franca De Mauro, appena uscita dall’aula bunker palermitana. “D’altronde in Italia sono tanti i misteri di Stato…”, ha aggiunto la figlia del giornalista.

Dopo una serie di fascicoli senza sbocchi, il processo per il sequestro e l’omicidio di Mauro De Mauro è stato riaperto nel 2001. Quando il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, ex boss di Altofonte, racconta ai magistrati che il giornalista “è stato ucciso perché sapeva del golpe Borghese”. “Lo seppellimmo alla foce dell’Oreto”, spiega il pentito. Così i magistrati riprendono in mano le vecchie indagini e ricostruiscono le tre piste che, a trent’anni dalla morte della giornalista, non erano mai state né escluse né confermate: il caso Mattei, il Golpe Borghese e il traffico di droga, quest’ultima ritenuta la meno attendibile. La prima ipotesi nasceva dalle presunte scoperte di De Mauro sul presidente dell’Eni, Enrico Mattei, morto in un incidente aereo mentre tornava a Milano da Catania. Ad affidargli il compito di ricostruire le sue ultime ore di vita era stato il regista Francesco Rosi. La seconda ipotesi degli inquirenti si basava invece sui trascorsi di estrema destra di De Mauro, membro della X Mas: per questo, sostenevano, avrebbe in qualche modo saputo dell’imminente Golpe del principe Junio Valerio Borghese e forse di una partecipazione di Cosa nostra all’impresa. Terza pista, la droga: il giornalista avrebbe potuto scoprire gli scali dell’eroina e della cocaina a Palermo, ipotesi su cui aveva indagato anche il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Nonostante la diversità delle piste, di una cosa i magistrati sono sempre stati certi. Cosa Nostra era coinvolta, probabilmente per conto di altri. I pm nel 2006 nottengono quindi il rinvio a giudizio di Totò Riina, ritenuto nel settembre del ’70 – periodo per rapimento di De Mauro – a capo dell’organizzazione criminale. Durante le udienze sono stati sentiti decine di testimoni, alcuni nel frattempo deceduti. A deporre è stato anche Massimo Ciancimino – figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo Don Vito – che ha fornito ai magistrati alcuni appunti del padre in cui si farebbe riferimento all’eliminazione di De Mauro “da parte dei compaesani (i Corleonesi, ndr) per conto di ambienti istituzionali romani”.

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