Nel corso del suo ultimo intervento in veste di Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, circa una settimana fa, ha sollevato per la prima volta una questione di non poca rilevanza nel nostro Paese, quella dell’occupazione femminile, di cui a mio avviso si parla ancora troppo poco.

“Un incredibile spreco di talenti – ha affermato Mario Draghi – e la scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro è un fattore di cruciale debolezza del sistema”.
Alcuni dati: il tasso di occupazione in Italia è al 68% per i maschi ed al 46% per le femmine (al Sud scende al 30%)- fonte Cerved -. Goldman Sachs ha effettuato uno studio dal quale si evince che se il tasso di occupazione fosse equamente distribuito tra maschi e femmine il PIL in Italia potrebbe crescere del +22% e del +13% nei Paesi Eurozona.
L’ultimo rapporto Istat dedica alla questione un capitolo ad hoc dal titolo “I nodi irrisolti della condizione femminile”. Nel 2010 l’occupazione femminile pur rimanendo stabile, peggiora nella qualità del lavoro. È scesa l’occupazione qualificata, tecnica e operaia ed è aumentata soprattutto quella non qualificata.
Senza contare il fatto che lo stipendio di una donna e’ mediamente inferiore del 20% rispetto al quello di un uomo a parita’ di condizioni.

Di questo problema, ripeto, ancora molto sottovalutato nel nostro Paese, se ne è parlato anche ieri a Milano in un workshop, organizzato dall’Associazione The Ruling Companies – dal titolo “Valorizzare la Risorsa Donna in azienda: un obiettivo strategico”. La cosa “curiosa” è che a questo interessante convegno il 70% dei partecipanti era di sesso femminile, quando tipicamente a questi eventi c’è una cospicua partecipazione maschile. Infatti oltre ad essere ancora troppo poche le donne che lavorano nel nostro Paese, se saliamo nella piramide della governance delle imprese, le percentuali delle quote “rosa” si assottigliano in maniera direi imbarazzante. Sono infatti una ristrettissima minoranza le donne italiane che riescono a raggiungere le posizioni di top management, nei Consigli di Amministrazione e nei Board delle imprese private e pubbliche. Peraltro il problema influisce negativamente sul business delle aziende, ma è ovviamente prima di tutto di carattere sociale.

Nel quadro dello sviluppo economico il tema della “diversity” nel quale rientra anche l’occupazione femminile dovrebbe essere una priorità. Anche l’Ocse si è espressa recentemente affermando che l’Italia non è un paese per famiglie, segnalando tre indicatori fondamentali: l’occupazione femminile, il tasso di fertilità e il tasso di povertà infantile, per il quali il nostro Paese occupa le ultime posizioni nella classifica europea. Il «dilemma italiano», come lo definisce l’Ocse, sta nella difficoltà di conciliare lavoro e figli, perché sono deboli le politiche per l’infanzia e per il lavoro che potrebbero contribuire a rimuovere gli ostacoli all’occupazione femminile. L’Italia infatti è uno dei Paesi dell’Ocse che spende meno per le sue politiche familiari: l’1,4% del Pil, la Francia il 3,8% e la media è del 2,2%.

Mancano le infrastrutture a supporto, come gli asili nido ad esempio, e più ampiamente un sistema di sostegno, legislativo ed economico, che incentivi ad esempio il part-time ed il telelavoro e che faciliti le coppie che intendono avere figli.
L’Italia peraltro è fra le nazioni con la maggiore concentrazione di anziani e il tasso di natalità è fermo ormai da diversi anni. Questi dati dovrebbero allarmarci non poco in un’ottica di visione di crescita, di sviluppo e di competitività a medio-lungo termine.
Se ne parla troppo poco, nel bene e nel male.
Si parla poco anche dei buoni esempi da seguire, che già esistono in Italia: aziende che hanno già messo in atto una serie di “best practice” per agevolare le pari opportunità, la gran parte di esse ad onor del vero sono di matrice anglosassone, ma iniziano ad esserci buoni esempi locali.

Il punto è che non possono bastare pochi esempi a cambiare lo stato delle cose e le aziende non possono essere lasciate completamente sole in questo percorso verso il riequilibrio dei generi, sicuramente non facile, banalmente per un motivo alla base che è anzitutto di carattere culturale, bensì dovrebbero essere premiate, incentivate.
Ma l’agenda politica, tanto per cambiare, pare abbia altre priorità e la questione femminile rimane ancora di secondaria importanza all’alba del XXI Secolo. Sarebbe semplice fare qualche battuta sul ruolo delle donne nell’agenda politica degli ultimi mesi, peccato che la questione sia troppo seria ed importante per scherzarci sopra.

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