Mentre la Nato intensifica i suoi bombardamenti su Tripoli e Gheddafi promette di rimanere nella sua capitale “vivo o morto”, la diplomazia internazionale è in movimento per il dopo-colonnello. Si apre oggi ad Abu Dhabi, infatti, il terzo incontro del cosiddetto Gruppo di contatto, la dozzina di paesi incaricata di avviare e sostenere il processo di transizione verso un nuovo governo. E dall’Onu, intanto, arriva l’allarme: dall’inizio degli scontri a oggi, sono state tra le dieci e le quindicimila le vittime in entrambi gli schieramenti. Lo ha riferito Sherif Bassiouni, che in aprile ha guidato la missione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, nella capitale e nelle aree roccaforti dei ribelli.

Del Gruppo di contatto riunito oggi  fanno parte, oltre all’Italia, anche Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, assieme ad alcuni paesi arabi, come Giordania, Kuwait e Qatar. Gli Emirati Arabi Uniti, padroni di casa, hanno annunciato che parteciperanno anche i delegati di Arabia Saudita, Egitto e Russia, oltre a quelli dell’Onu, della Lega Araba e dell’Organizzazione della Conferenza islamica (Oic). Un funzionario diplomatico statunitense ha dichiarato, anonimamente, all’emittente panaraba Al Jazeera che i colloqui saranno dedicati a capire come sarà la Libia del futuro: “Un paese unito e democratico dopo una transizione controllata”.

Innanzi tutto, però, bisogna discutere di soldi. Quelli che i ribelli del Consiglio nazionale di transizione hanno chiesto il 5 maggio scorso, a Roma, durante il precedente incontro del Gruppo di contatto. Gli Usa hanno garantito che il Cnt non sarà a corto di fondi, sia per continuare le operazioni militari contro le truppe ancora fedeli al dittatore di Tripoli, sia per iniziare a organizzare nei territorio sotto il controllo dei ribelli il nucleo del futuro Stato. Sia ancora per aiutare il Cnt a mantenere gli impegni assunti a Roma, in termini di elezioni locali, elaborazione della nuova Costituzione e road map della transizione politica.

Washington pensa a un meccanismo di canalizzazione dei fondi che garantisca il controllo dei flussi finanziari e anche a una maggiore partecipazione dei paesi arabi nel sostegno finanziario. Finora, a parte la decisione italiana di trasformare le partecipazioni libiche in alcune aziende (Eni e Unicredit) in garanzie per gli stanziamenti da dare al Cnt, soldi freschi ne sono arrivati pochi. “L’Italia si è impegnata con il Cnt a fornire 300-400 milioni di euro in cash e 150 milioni in carburante, utilizzando come garanzie gli asset libici congelati in Italia”, ha ribadito oggi il ministro degli Esteri Franco Frattini, ricordando l’impegno assunto nella sua visita a Bengasi la settimana scorsa.

Il Congresso statunitense deve ancora decidere se usare i beni di Gheddafi congelati per finanziare il nuovo governo, che è comprensibilmente molto sensibile sul tema. Come aveva detto a Roma il presidente del Cnt Mahmoud Jabril, i fondi serviranno per garantire servizi pubblici, stipendi, attività economiche nella parte orientale del paese e nelle altre zone sotto il controllo dei ribelli, che lentamente stanno riprendendo anche le esportazioni di greggio. Appena, ieri, infatti nel porto hawaiano di Barbers Point era attesa una petroliera battente bandiera liberiana con 1,2 milioni di barili di greggio venduti dal Cnt agli Usa.

Nonostante questo consenso di fondo, ci sono molti “dettagli” ancora da discutere tra i partecipanti all’incontro. Il primo è che non tutti – e tra questi gli Usa – sono convinti del fatto che il Cnt possa effettivamente ed efficacemente assumere il controllo di tutto il paese in tempi rapidi. Il secondo, non meno importante, è che specialmente tra gli alleati arabi non c’è accordo su quando e come Gheddafi debba uscire di scena.

“Il Gruppo di contatto ripeterà un messaggio univoco – ha detto alla Bbc il ministro degli esteri britannico Alistair Burt –. Che Gheddafi, il suo regime, la sua famiglia hanno perso ogni legittimità e devono lasciare il paese perché i libici possano scegliere il proprio futuro”. Burt ha aggiunto che in vista di questo obiettivo, aumenterà la pressione sul regime, sia dal punto di vista politico che economico e militare. La porta per un possibile accordo, tuttavia, non è stata chiusa completamente: un altro funzionario diplomatico coinvolto nell’incontro, ha infatti dichiarato all’agenzia Reuters che “la comunità internazionale sta decidendo come arrivare alla chiusura della partita in Libia e ciò ovviamente include anche la possibilità di una qualche forma di accordo in cui Gheddafi e la sua famiglia possono avere un ruolo”.

Le ultime dichiarazioni del colonnello libico, però, e più ancora i rinnovati assalti delle truppe governative contro la città di Misurata, rendono questa ipotesi piuttosto remota.

di Joseph Zarlingo – Lettera22

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