“Alla Biennale, per qualche motivo, non ho mai dato il mio meglio”, confessa Maurizio Cattelan nella sua Autobiografia non autorizzata messa in scena da Francesco Bonami (Mondadori). Beh, se non lui qualcuno ci riesce, a dare il suo meglio. O il suo peggio.

Prendete lo scultore Federico Severino, figlio del più noto Emanuele, filosofo, che nell’aiola antistante il padiglione di Sgarbi ha deposto un inquietante gruppo bronzeo: I Quattro Cavalieri dell’Apocalisse (come se non ce ne bastasse uno). Segnalato da qualche disinteressato estimatore che non ha ovviamente alcun legame di parentela né di amicizia con papà, l’artista bresciano gode di una sponsorship ben più autorevole: il professor Parmenide da Elea.

«Tutte le cose sono eterne», sostiene infatti Severino Senior, sulla scorta del pensatore presocratico. Eterne dunque, a maggior ragione, le sculture del figlio, benché il soggetto prescelto possa apparire iettatorio. La Biennale diventa bimillenaria. Nichilisti tecnologici, modernisti drogati dal divenire, rassegnatevi: nel 4011, passeggiando per i giardini di Castello, potreste imbattervi nei quattro apocalittici di Federico.

E al vostro commento stupito («ancora qui?»), un passante veneziano risponderà: «Xè Parmenide che ghe l’ha ibernà! No xè vero che pantarèi!». Severino non è il solo “figlio di” segnalato per il padiglione sgarbesco. Come ha autorevolmente commentato Roberto D’Agostino, la mostra rispecchia con geniale coerenza la realtà dell’Italia familista, amicale e amorale.

Non c’è intellettuale di destra o di sinistra che non abbia segnalato un cugino di Avetrana, un vicino di Erba, una fidanzata, il fratello della escort favorita o la nipote di un’igienista dentale. Il ministro della cultura Galan ha apprezzato i piccioni di Cattelan appollaiati sui cornicioni della Biennale: «Da vivi non li sopporto, impagliati sì». Anche noi, i segnalatori li preferiamo impagliati. La prossima volta, nel Padiglione Italia, vorremmo vedere loro al posto delle opere: appollaiati sul soffitto, da Agamben a Galli della Loggia. Per l’eternità. Parmenide insegna.

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