C’è un profondo contrasto nella calma dell’alba quando la notte appena trascorsa è stata rutilante. Così, appena una settimana fa, subito dopo le elezioni amministrative, una metà degli italiani (me compreso) era alle prese coi festeggiamenti per l’ormai prossima “liberazione nazionale”, e ora che il fumo magico dell’allegria e della sbornia si è dissolto, siamo qui attoniti a fissare a bocca aperta il solito corrotto, osceno, depravato, spettacolo italiano.

Ad appartenere a un ordine di vita reale e non fantastico non è tanto la sparizione di Annozero dal palinsesto di Rai 2, né la maggioranza di governo che continua a far finta di essere maggioranza. È la solita freddezza, imperturbabilità, apatia, di un popolo ormai cronicamente incapace di provare indignazione e collera di fronte alle più colossali ingiustizie umane di questo tempo.

Qualche giorno fa c’è voluto il richiamo del Capo dello Stato per accendere i riflettori dell’informazione sui 200 esseri umani morti affogati mercoledì scorso nel tentativo disperato di raggiungere le coste del nostro paese. In una lettera a Claudio Magris, Napolitano, riferendosi a questa immane sciagura, ha sottolineato come «di fronte alla tragedia dei tanti migranti inghiottiti dal mare, l’indifferenza è un rischio da scongiurare e per questo occorre reagire moralmente e politicamente». Dall’inizio del 2011 i migranti morti nel canale di Sicilia hanno superato le 1500 unità. Sono i numeri di una guerra non dichiarata, una catastrofe umanitaria che non riesce in alcun modo a scuotere le coscienze del bel paese.

E allora, prima di parlare di “liberazione”, di “vento del cambiamento”, facciamo in modo che a cambiare sia l’ordine dei valori, facciamo in modo che in questo minuto della storia la percezione che abbiamo di certi massacri di massa non sia sopita come lo era nella Germania nazista del ’42. Quando la morte di 200 persone (bambini compresi) scompare dalle notizie di giornali e Tg in meno di 24 ore significa che siamo di fronte al fallimento di un intero sistema sociale. E non basta l’elezione di un Pisapia o di un De Magistris per poter dire “siamo di nuovo liberi”.

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