Nessuna notizia positiva per i lavoratori dello stabilimento Datalogic di Quinto, in provincia di Treviso, che venerdì mattina hanno improvvisamente saputo della apertura della procedura di mobilità, cioè il preavviso di licenziamento entro 75 giorni. Lo stabilimento veneto, infatti, chiude e trasferisce la produzione in Vietnam.

Dopo il primo incontro di stamattina a Treviso tra sindacati e rappresentanti della azienda bolognese che produce scanner per la lettura dei codici a barre (a Quinto si producono quelli portatili, in uso ai magazzinieri o nei supermarket), le posizioni non sembrano essersi mosse di un millimetro. Quello che si sta verificando tra la ditta e i quasi 150 lavoratori, che da venerdì stanno occupando lo stabilimento, è un vero e proprio braccio di ferro: “Abbiamo chiesto di ritirare il licenziamento per aprire un negoziato, ma l’azienda si è detta indisponibile sia al ritiro, sia alla sospensione momentanea della procedura di mobilità – racconta Elio Boldo, sindacalista della Fiom Cgil di Treviso, oggi presente all’incontro che si è tenuto nella sede dell’Unione industriali trevigiana – Datalogic ha concesso solo che avrebbe aperto un ragionamento solo sui tempi per il licenziamento purché avessimo rimosso l’occupazione”. Così il primo tavolo è andato a vuoto.

Ma i sindacati, che denunciano di essere stati accolti stamattina dai carabinieri schierati di fronte alla sede degli industriali (“avevamo al seguito 30 lavoratori”, spiega Boldo), non vogliono mollare, forti anche del prossimo incontro in programma l’8 giugno al ministero delle attività produttive. Un incontro che era stato strappato venerdì quando a Treviso, in concomitanza proprio con la giornata di protesta dei lavoratori alla Datalogic, il ministro del lavoro Maurizio Sacconi, trevigiano, si trovava in città per un incontro con gli industriali, presente anche il numero uno di Confindustria Emma Marcegaglia. Prima di quella data i sindacati non vogliono rassegnarsi a parlare di chiusura. “Discutere di ammortizzatori sociali o altro prima di andare al ministero vuol dire intraprendere una strada molto chiara – dice Boldo – Qui, o si sospende la procedura e ci confrontiamo giù al ministero, oppure permane il blocco e l’occupazione”.
Dall’azienda intanto non arriva ancora nessuna dichiarazione ufficiale. Datalogic, fondata e guidata dal bolognese Romano Volta (padrone, tramite la società immobiliare “Hydra” anche di diverse proprietà sotto le Due torri, come il Palazzo Pizzardi, oggi discussa sede del tribunale e del complesso della ex-maternità, sempre in via D’Azeglio), è una azienda con circa 2 mila dipendenti in giro per il mondo, quotata in Borsa da almeno dieci anni, e, almeno apparentemente, senza grossi problemi economici. La mossa della delocalizzazione in Vietnam sembra essere preventiva: andare dove i mercati si stanno espandendo e dove si produce la componentistica. E dove, inoltre, la manodopera probabilmente costa molto meno, cioè in Asia.

I sindacati intanto hanno proclamato 8 ore di sciopero in tutti gli stabilimenti italiani della Datalogic (cioè anche a Bologna e a Teramo, che però non sembrano correre pericoli), e il 7 giugno ci sarà una manifestazione davanti ai cancelli della sede centrale di Datalogic a Lippo di Calderara, alle porte del capoluogo emiliano, prima di continuare la discesa verso Roma. Certo le speranze non sono tante: “L’azienda è inaffidabile. C’era un accordo secondo cui fino a fine del 2011 non si sarebbe messo mano ad alcuna ristrutturazione”, accusa Boldo.

Triste ironia. Datalogic era stata premiata nel 2010 come top employer, un riconoscimento per i migliori datori di lavoro. Invece, per i lavoratori trevigiani, potrebbe essere l’inizio di un “vero Vietnam”.

David Marceddu

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