“Siamo fatti di acqua. Come potremmo venderci?”, si chiede lo scrittore uruguayano Eduardo Galeano, nell’introduzione al libro La visione dell’acqua a cura di Yaku (un collettivo redazionale formato da Enzo Vitalesta, Francesca Caprini, Cristina Coletto e Cristiana Gallinoni). Un libro che parla di esperienze di lotta ed amministrazione importanti attorno a questo bene fondamentale, realizzate in Bolivia, Colombia ed Italia.

Si tratta di un tema di estrema attualità. In Bolivia fu proprio a partire dalle grandi manifestazioni in difesa dell’acqua pubblica del 2000 che cominciò a svilupparsi il grande movimento di massa che, ampliandosi anche alle questioni dell’energia e del gas, portò alla cacciata del governo di Gonzalo Sánchez de Losada, asservito agli interessi del capitale internazionale, spianando la strada a Evo Morales e alla nuova Costituzione democratica del 2009. Anche in Colombia i popoli indigeni sono in prima fila nella difesa dell’acqua dai tentativi delle multinazionali di appropriarsene, come nel Cauca, una cui delegazione ho avuto il piacere di ospitare a Roma un paio di settimane fa.

Una volta tanto, però, anche l’Italia è al centro dell’attenzione, in virtù del referendum in programma il 12 e 13 giugno su tre questioni essenziali: nucleare, legittimo impedimento e, appunto, acqua, in un mix fra peculiarità nostrane (l’impagabile Bunga Bunga che è giunto a perorare da Obama la sua comprensione per la dittatura dei giudici) e problemi globali.

Acqua ed energia, in particolare, sono i temi del futuro. Per dirla con Alex Zanotelli, che dà un suo breve ma incisivo contributo al libro citato, si tratta di “questioni di vita e di morte”. E non solo per Bunga che lo ha capito al volo e si affanna in tutti i modi per impedire che i cittadini vadano alle urne ad esercitare il fondamentale diritto democratico previsto dall’art. 75 della Costituzione repubblicana. Anni fa mi sono occupato in particolare del tema dell’acqua dal punto di vista del diritto internazionale, in un intervento a un convegno all’Università di Roma, giungendo alle seguenti conclusioni:

L’approccio combinato sui tre elementi segnalati: sovranità dal basso, l’acqua come patrimonio comune dell’umanità, l’affermazione del diritto fondamentale, dovrebbe pertanto in conclusione permettere di conseguire i seguenti obiettivi:
a) equa ripartizione della risorsa;
b) diffusione delle tecnologie innovative;
c) attribuzione di poteri effettivi alle comunità locali (conoscenza del territorio);
d) promozione della cooperazione internazionale in materia anche attraverso l’istituzione di apposite authority globali e regionali.
Determinante sarà ovviamente la capacità dei movimenti di mobilitarsi e di coordinarsi a livello internazionale per bloccare i processi di privatizzazione in corso e rilanciare tali obiettivi”.

Ebbene, la lotta contro la privatizzazione, che non può riguardare nessuno dei momenti della gestione del bene, con buona pace della signora Marcegaglia, è giunta a un momento cruciale anche nel nostro Paese, che può dare un contributo importante allo schieramento mondiale per i diritti umani e i beni comuni.

Tanto più importante respingere il tentativo di Bunga di affossare i referendum. Va appoggiato, in questo senso, l’appello promosso da vari giuristi che si conclude con l’auspicio che “l’Ufficio per il referendum presso la Corte di Cassazione, sulla base dell’accertamento dell’evidente contrasto tra i principi ispiratori dell’emendamento approvato e l’intento dei proponenti del referendum, voglia trasferire il quesito referendario sul primo e sull’ottavo comma di tale emendamento, così consentendo agli elettori di pronunziarsi contro la pervicace volontà del legislatore di non abbandonare il programma nucleare”.

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