Interminabili momenti di panico. Per tre minuti e mezzo l’Air France 447, in volo da Rio de Janeiro a Parigi, quel maledetto 9 giugno 2009, è precipitato giù verso il mare. Sugli strumenti di bordo i piloti hanno visto comparire due velocità diverse, ma solo una indicava: il velivolo stava scendendo a una eccessiva. “Non abbiamo nessuna indicazione valida”, sono state le ultime parole pronunciate da uno di loro. Prima di inabissarsi. E solo ora cominciano ad affiorare le prime verità su quel crash che è costato la vita a 228 persone. E che da allora è stato al centro di indiscrezioni, fughe di notizie, anche una bella dose di omertà, visto che nella tragedia sono coinvolti gruppi pubblici come Air France, il produttore di quell’aereo Airbus (consorzio franco-tedesco). E Thales, colosso dell’elettronica, fornitore di Airbus. A sua volta, controllato al 27% dallo Stato francese e al 25,9% da Dassault Aviation, società gestita da uno degli amicissimi e maggiori finanziatori di Nicolas Sarkozy, l’industriale Serge Dassault.

Gli ultimi dettagli sono stati forniti ieri dalla Bea, organismo pubblico francese che indaga sui crash aerei (e tecnologicamente un riferimento a livello mondiale). Provengono dalla scatola nera dall’aereo, recuperata agli inizi di maggio. Un rapporto completo dovrebbe essere pubblicato entro luglio. Di chi la colpa? Dei piloti? Di Airbus e compagnia? Una delle supposizioni, che girava fin dagli inizi come rumour insistente a Parigi, era che il comandante non fosse presente nella cabina di pilotaggio poco prima del crash. In effetti su quel volo viaggiava anche sua moglie e lui avrebbe lasciato gli altri due copiloti da soli per andarsene dietro in compagnia della coniuge, in quella fase delicata di attraversamento di una zona dell’Atlantico, in preda a pesanti fenomeni meteorologici, come sempre. In realtà la Bea ha indicato oggi che il comandante è ritornato un minuto e mezzo dopo che il pilota automatico si è misteriosamente disinnescato. A quel punto ha preso la decisione (sbagliata) di impennare con il velivolo. Ma gli strumenti di bordo davano indicazioni contraddittorie. E’ proprio questo che deve essere accertato con sicurezza. E forse il prossimo rapporto Bea darà un’indicazione definitiva.

Intanto dallo scorso 20 marzo Air France e Airbus sono sotto inchiesta per “omicidio involontario”. La decisione è stata presa (in ritardo, ma con un certo coraggio, vista l’atmosfera di omertà che si è respirata a Parigi fino a pochi mesi fa) dal giudice istruttorio Sylvie Zimmerman sulla base di un’inchiesta ultimata da cinque esperti. Si sono concentrati sulle sonde di Pitot, collocate sull’esterno dell’aereo e che servono a calcolarne proprio la velocità. Fin dagli inizi, subito dopo l’incidente, le sonde erano finite nel mirino dei tecnici aeronautici. Fornite a Airbus da Thales, il colosso intoccabile gestito dallo Stato e dalla famiglia Dassault, legata a doppio filo a Sarkozy, sono state subito dopo ritirate dai velivoli di Air France e sostituiti da un’altra versione. I cinque esperti che hanno lavorato per il giudice Zimmerman hanno incontrato gli equipaggi di nove voli Air France che, prima di quello sfortunato Rio-Parigi, avevano avuto problemi simili. I piloti in quei casi erano riusciti a cavarsela ma solo con una buona dose di fortuna. Le difficoltà sorgevano nel caso in cui un eccesso di ghiaccio di depositasse sulle sonde. “Gli equipaggi aerei di Air France non erano assolutamente pronti ad affrontare questa emergenza”, ha rivelato uno dei piloti interpellati dagli esperti. Eppure il sistema si sarebbe inceppato in 25 voli per oltre un anno prima del crash. La Zimmermann ha messo sotto inchiesta anche Airbus “che non ha previsto nessuna procedura specifica nel caso di eccesso di ghiaccio per le sonde di Pitot”. Oggi le prime rivelazioni del Bea forniscono sì qualche verità. Ma altre ancora sono attese. Dai parenti delle vittime. Anche da tutti i francesi.

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