Nessun militare italiano è morto nell’attentato di oggi pomeriggio in Libano, secondo quanto riferito dal generale Massimo Fogari. Il portavoce dello Stato maggiore della Difesa ha così smentito le voci sulla morte di uno o più militari, diffuse subito dopo la notizia dell’attacco. Sei caschi blu sono però rimasti feriti insieme a tre civili libici. “Due dei feriti sono gravi – ha aggiunto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa -, uno rischia di perdere un occhio mentre l’altro ha una lacerazione alla carotide ed è già stato operato”. Secondo fonti dell’ospedale in cui sono ricoverati, entrambi sono però fuori pericolo. I militari sono rimasti vittima dell’esplosione di un ordigno – probabilmente di 10 chili e azionato a distanza – nascosto dietro una barriera di cemento armato sulla superstrada diretta alla città portuale di Sidone, 40 chilometri a sud di Beirut. Lo scoppio è avvenuto al passaggio di un convoglio di quattro veicoli delle forze Onu impegnate nella missione Unifil II: ha distrutto l’ultimo veicolo e colpito il terzo. Il luogo dell’attentato sarebbe lo stesso in cui il primo agosto un altro ordigno è esploso al passaggio di un mezzo su cui viaggiavano caschi blu irlandesi. Ancora confusi comunque i particolari dell’attacco, anche per il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha chiesto di essere tenuto aggiornato. “Fino a questo momento non so nulla di più”, ha spiegato.

Il convoglio – ha spiegato un portavoce di Unifil – era impegnato in una missione logistica. Più d’una potrebbero essere le cause dell’attentato: la Giornata Internazionale dei Peacekeeper Onu – che si celebra oggi – in cui sono ricordati i caschi blu uccisi nelle varie missioni nel mondo, o una risposta al G8 di Deauville che ha varato un fondo per le democrazie nate dalla ‘primavera araba’. “Preoccupa – ha continuato Napolitano – il fatto che nel Libano, in un’area di estrema delicatezza per il Medio Oriente, possa scattare qualcosa che non è mai scattato fino ad ora, un attentato terroristico, se sarà confermato che di questo si tratta”.

I militari italiani impegnati in Libano nella Unifil – denominata in ambito nazionale ‘operazione Leonte’ – fanno parte della brigata meccanizzata ‘Aosta’. Per la prima volta impegnati nella regione, dopo numerose presenze nei Balcani, hanno ricevuto il passaggio di consegne dai colleghi della brigata di cavalleria ‘Pozzuolo del Friuli’, tornata in Italia, lo scorso 10 maggio. L’Italia partecipa alla missione con un contingente militare di quasi 2 mila uomini, compresa la componente navale. Creata nel 1978 per sorvegliare la frontiera tra Libano e Israele, la missione è stata prolungata dopo la guerra del 2006 tra Israele ed Hezbollah. Ma da tempo il governo italiano si dice intenzionato a ridurre la sua presenza nella regione. “Troveremo le modalità – ha spiegato il ministro degli Esteri, Franco Frattini – che non può essere quella di dire che da domani ce ne andiamo, è una graduale riduzione”. “Per primo ho chiesto il ritiro dalla missione in Libano – ha commentato il ministro della Semplificazione ed esponente della Lega Nord, Roberto Calderoli -, continuo a ritenere che le missioni nelle quali siamo impegnati siano troppe ed in troppi Paesi: in alcune realtà siamo addirittura più rappresentati degli Stati Uniti”.

Era il 6 agosto 1997 quando quattro militari italiani sono morti in Libano. Durante un volo di addestramento notturno, un elicottero AB205 cadde al suolo a causa dell’improvviso peggioramento delle condizioni meteorologiche, provocando la morte dei capitani dell’Esercito Antonino Sgrò e Giuseppe Parisi, il maresciallo capo Massimo Gatti e l’appuntato dei Carabinieri Daniel Forner.

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