Gerusalemme, Hillary Clinton insieme al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente palestinese Mahmoud Abbas nel 2010

”Dobbiamo trovare un modo per stabilire un patto di pace permanente con i palestinesi”. Anche a costo di “dolorosi compromessi”. Così il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, oggi davanti al Congresso statunitense per spiegare la sua posizione riguardo al processo di pace nella regione. Il “discorso della sua vita”, secondo Netanyahu, che ha parlato per 50 minuti ed è stato interrotto quasi trenta volte dagli applausi bipartisan dell’aula. Nonostante l’incontro non troppo positivo di qualche giorno fa con il presidente Usa Barack Obama. Il “peggiore” discorso che il il premier israeliano abbia mai fatto, invece, per l’Autorità nazionale palestinese (Anp). “E’ stato il discorso del ‘no'”, ha spiegato il portavoce Ghasan Khatib, perché “Netanyahu ha detto no a tutto: ai rifugiati, ai confini, alla divisione di Gerusalemme”. “E’ veramente la pace che tanto desidera?” ha chiesto Khatib.

In mattinata, ancora prima del discorso al Congresso, Netanyahu aveva dichiarato: “Israele non tornerà mai ai confini del 1967”, che era poi la richiesta di Obama. Il primo ministro israeliano, però, ha fatto riferimento al presidente Usa nei suoi ringraziamentiper aver fornito finora “assistenza vitale a Israele che ci permette di difenderci”. Sulla questione degli insediamenti in Cisgiordania, Netanyahu ha però ammesso: “In un qualsiasi accordo di pace che porrà fine al conflitto, alcune colonie finiranno col ritrovarsi al di fuori dei confini israeliani”. “Gerusalemme non deve essere divisa – ha inoltre chiarito il premier –. Deve restare la capitale unita d’Israele”.

La posizione di Netanyahu è stata chiara anche per quanto riguarda il rapporto con i palestinesi, che “condividono questa piccola terra con noi”, ha dichiarato il premier israeliano. E’ “assolutamente vitale”, secondo il primo ministro, che un eventuale Stato palestinese riconosciuto sia smilitarizzato e sarà impossibile per Israele negoziare un accordo di pace con un’Anp che comprenda anche Hamas, l’autoritàù che controlla la Striscia di Gaza, “la versione palestinese di Al Qaida” per Netanyahu.

“In Israele non abbiamo un partner con cui fare la pace”. Non sono piaciute al capo negoziatore palestinese, Saeb Erekat, le parole del premier israeliano. E sembrano aver avuto l’effetto di spingere ancor di più l’Olp, il supremo organo di rappresentanza della causa nazionale palestinese, a procedere nel progetto di far ricorso all’Onu a settembre. Ipotesi che Obama aveva chiesto di accantonare. L’idea, ha spiegato oggi Saleh Raafat, membro del comitato esecutivo dell’Olp, è quella di chiedere direttamente all’Assemblea Generale – visto il rifiuto di Israele – il riconoscimento di una Palestina indipendente entro i confini antecedenti alla guerra del 1967.

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