Una decina di giorni fa la FAO ha reso disponibile uno studio sulle perdite e sullo spreco di cibo, commissionato all’Istituto svedese per il cibo e la biotecnologia (SIK).

È stimato che circa 1/3 del cibo prodotto per consumo umano sia sprecato dai rivenditori e compratori, o vada perduto lungo i processi produttivi: circa 1,3 miliardi di tonnellate.

670 milioni di tonnellate nei paesi industrializzati, soprattutto per spreco dei rivenditori e consumatori.

630 milioni di tonnellate nei paesi in via di sviluppo, soprattutto per perdite dopo il raccolto e nella lavorazione.

Comparando gli sprechi: annualmente i consumatori dei paesi ricchi sprecano quasi la stessa quantità di cibo dell’intera produzione alimentare netta dell’Africa sub-sahariana.

Frutta e verdura, radici e tuberi sono gli alimenti che vengono sprecati maggiormente.

La produzione alimentare totale pro capite è circa di 900 kg all’anno nei paesi ricchi e 460 kg all’anno nei paesi più poveri. In Europa e in Nord America lo spreco pro capite da parte del consumatore è calcolato intorno ai 95-115 kg all’anno, mentre in Africa sub-sahariana e nel sudest asiatico ammonta a soli 6-11 kg l’anno.

Quanto alle perdite, il rapporto osserva che esse divengono perdite di reddito per i piccoli contadini. Quindi prezzi più alti per i consumatori poveri. “La riduzione delle perdite potrebbe dunque avere un effetto immediato e significativo sulle loro condizioni di vita e sulla sicurezza alimentare dei paesi più poveri”.

In Italia, la Coldiretti stima che annualmente si spreca cibo per circa 37 miliardi di euro, sufficienti a nutrire 44 milioni di persone. Circa il 3% del Prodotto interno lordo finirebbe nella spazzatura.

Il Rapporto Fao esamina alcune delle cause, e propone cambiamenti quale “vendere i prodotti della terra direttamente senza dover conformarsi alle norme qualitative dei supermercati… tramite negozi e mercati gestiti dai produttori.” Cambiamenti anche dell’atteggiamento di chi compra: “I consumatori dei paesi ricchi sono in genere incoraggiati a comprare più cibo di quello di cui hanno in realtà bisogno. Ne è un esempio il classico compra tre e paghi due proposto in molte promozioni, come pure le porzioni eccessive dei pasti pronti prodotti dall’industria alimentare. Ci sono poi i buffet a prezzo fisso offerti da molti ristoranti che spingono il consumatore a riempire il proprio piatto oltre misura”.

A conclusione e commento, riporto quanto scritto sulla rivista Cosmopolis da Andrea Segrè, preside della Facoltà di Agraria all’Università di Bologna: “la FAO stima che la produzione agricola mondiale potrebbe nutrire abbondantemente 12 miliardi di esseri umani, cioè il doppio di quelli attualmente presenti sul pianeta… Com’è possibile, allora, che nonostante summit, dichiarazioni e obiettivi sbandierati il numero di affamati non diminuisca, anzi aumenti?… Uno studioso inglese, Tristram Stuart che, rielaborando i bilanci alimentari della FAO, ha calcolato un livello di “surplus superfluo” che sarebbe 22 volte superiore a quello necessario per alleviare la fame delle popolazioni malnutrite del pianeta o basterebbe per alimentare 3 miliardi di individui… La metà delle dotazioni delle agenzie internazionali specializzate in campo agroalimentare – FAO, PAM e IFAD ad esempio – serve per mantenere se stesse, cioè le loro strutture pesanti e appunto costose. Tra stipendi, benefit, trasporti e spese generali si bruciano miliardi di dollari: uno scandalo che, finiti i controvertici mediatici di protesta da parte delle Organizzazioni non governative, passa ben presto nel dimenticatoio. Tirando le somme e moltiplicandole per enne (il numero delle agenzie delle Nazioni Unite) si capisce poi chi mangia sulla fame”.

Segnalo l’iniziativa Last Minute Market di Segrè; oltre al libro che ha scritto assieme a Luca Falasconi: “Il Libro Nero dello spreco in Italia: il cibo”, Edizioni Ambiente.

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