Era proprietario di una montagna che adesso ritorna allo Stato. Così come tutto il suo impero, beni e imprese edili che gli hanno consentito di infiltrarsi nei lavori di ammodernamento della Salerno-Reggio Calabria. Complessivamente è quasi di 50 milioni il patrimonio confiscato a Salvatore Domenico Tassone condannato nell’operazione “Arca” per associazione a delinquere di stampo mafioso e per aver costretto la “Condotte d’Acqua”, ditta appaltatrice dei lavori, a rifornirsi di calcestruzzo e inerti dalla sua impresa. Vicino alle cosche “Longo-Versace” di Polistena e imparentato con gli Alvaro di Sinopoli e gli Ierinò di Gioiosa Jonica, Tassone è considerato uno degli imprenditori della ‘ndrangheta.

Il decreto di confisca, emesso dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio, è stato eseguito dalla Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria diretta dal colonnello Francesco Falbo. La confisca ha interessato, in particolare, il patrimonio aziendale di cinque società operanti nel settore edilizio e della produzione di inerti e sbancamento terra, numerose costruzioni, 86 appezzamenti di terreno per un’estensione complessiva di circa 700 ettari, due mercedes, disponibilità finanziarie per 6 milioni e 800mila euro, tre cave utilizzate per l’estrazione e la lavorazione di materiale inerte e una vasta area recintata adibita a deposito.

Una vera e propria “impresa mafiosa” che si è imposta sul mercato con la forza dell’intimidazione ed estromettendo le imprese che non godono di pari entrature criminali. Nel provvedimento del Tribunale, il presidente Scortecci e il giudice Oliva hanno sottolineato che “la pericolosità qualificata del Tassone si è costantemente manifestata a partire dagli anni ’80 nell’essersi avvalso della finalità della cosca mafiosa di appartenenza per accaparrarsi il controllo delle attività inerenti la movimentazione dei materiali inerti….va, pertanto disposta la confisca di tutti i beni…trattandosi di beni frutto e reimpiego delle attività rientranti nel programma criminoso del sodalizio criminale di cui il proposto risulta attivo partecipante”.

Nel dicembre del 1994, infatti, Tassone è sfuggito a un agguato mentre si trovava sulla superstrada Ionio-Tirreno insieme al figlio. In quell’occasione, i sicari riuscirono a ferirlo a colpi di pistola. Nel 2000, inoltre, la Corte d’Assise d’Appello di Reggio lo ha condannato a 7 anni e 4 mesi di carcere per l’omicidio e l’occultamento di cadavere di Pietro Rullo indagato assieme al Tassone (poi assolto), nel 1993, nell’inchiesta sui lavori per la costruzione della diga sul fiume “Metramo”.

Con le sue imprese e attraverso quelle intestate alla moglie o ai figli, Domenico Salvatore Tassone ha controllato, nella Piana di Gioia Tauro, il settore del movimento terra e lavorazione di materiali inerti sino al luglio 2007 quando, di fatto, ha consentito alla ‘ndrangheta di infiltrarsi nei lavori per il quarto macrolotto dell’A3. Lavori finiti al centro della maxi-inchiesta “Arca” coordinata dal sostituto procuratore della Dda Roberto Di Palma.

Un’indagine che ha dimostrato ancora una volta come la “Salerno-Reggio Calabria” sia il “corpo di reato più lungo d’Italia” oggetto degli appetiti delle cosche mafiose. Le ‘ndrine del reggino e del vibonese avrebbero imposto il loro controllo sull’aggiudicazione degli appalti e subappalti dei lavori di ammodernamento dei tratti Mileto-Serre e Mileto – Rosarno. Lavori per oltre 100 milioni di euro che si aggiungono alla cosiddetta “tassa ambientale” (pari al 3% dell’importo dei lavori) che la Condotte sarebbe stata costretta a versare per la “sicurezza” dei suoi cantieri. Una tassa che, stando alle indagini della Distrettuale, veniva poi recuperata illegalmente dalle stesse imprese sia con il sistema della sovrafatturazione (indicando importi maggiori rispetto ai lavori realmente effettuati) sia con la fornitura di materiale di scarsa qualità.

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