La mano del presidente Pertini su quella del sindaco Zangheri. La mano del presidente Pertini su quella del sindaco Imbeni.

In quei gesti ci sono la storia d’Italia e la storia di Bologna. Di quel che è cambiato e di quel che c’è il rischio non cambierà mai. Sandro Pertini in piazza Maggiore ha presenziato due funerali: quelli delle vittime della strage della stazione, 2 agosto 1980, e quello degli assassinati del rapido 904, il 23 dicembre 1984.

Veniva chiamato il «presidente più amato degli italiani». E’ morto 26 anni fa, la sua tomba a Stella in Liguria, dove nacque, è stata a lungo in degrado, le visite sono minime, a Savona non gli hanno (ancora) dedicato strade o piazze.

Gli uomini passano. Restano se sono riusciti a tramandare qualcosa, a insegnare ai più giovani. Ma ricordare le stragi come si fa? Bologna è stata sconvolta dal più grande massacro della storia italiana: gli 82 morti e gli oltre 200 feriti della bomba alla stazione. E’ la punta terribile di eccidi che per dieci anni hanno toccato la città che era considerata la capitale rossa, il regno del Pci occidentale.

Il 6 agosto 1974 a San Benedetto Val di Sambro esplose il treno Italicus: 12 morti e una cinquantina di feriti. Il 27 giugno 1980 nel mare di Ustica si inabissò l’aereo Itavia che da Bologna andava a Palermo: 81 morti. Poche settimane dopo, il 2 agosto, la bomba nella sala d’aspetto della stazione. Il 23 dicembre 1984 salta nella galleria di Vernio, appena al di là del confine con Firenze, salta il treno che sta andando a Monaco di Baviera. I morti sono 17, i feriti quasi 300.

Alla memoria è dedicato dal 2007 un museo bello nella sua tristezza. Ci hanno portato i resti dell’aereo Itavia, recuperati in mare, trasportati con una maxi operazione lungo tutta l’Italia. Lo guida Daria Bonfietti, sorella di uno dei morti, impegnata per anni a cercare chi avesse abbattuto l’aereo (i francesi) e perché (conflitto con un caccia libico), per varie legislature parlamentare della sinistra cittadina. Il luogo è unico, nella sua essenzialità coreografica. Lo visitano scolaresche portate dagli insegnanti.

Cosa resta? Ogni anno qualche giornalista va in corteo a chiedere cosa sanno a quelli che il 2 agosto sfilano per ricordare la bomba nella stazione. Le risposte sono tanto indignate quanto confuse.

Per l’Italicus non è stato condannato nessuno. Per la stazione sono stati ritenuti colpevoli Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, terroristi neri che ammettono una ventina di omicidi sparsi per l’Italia, ma negano la strage. Sono semiliberi. Come Mario Tuti, fascista toscano, killer di poliziotti, accusato dell’Italicus, assolto come tutti gli imputati. Per il rapido 904 sono stati condannati i camorristi Pippo Calò e Guido Cercola, suicidatosi in carcere a Sulmona il 3 gennaio 2005, soffocandosi con dei lacci di scarpe. Il 27 aprile scorso la Direzione distrettuale antimafia di Napoli ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del boss mafioso Totò Riina per la strage, considerandolo il mandante. Motivo: deviare l’attenzione dello Stato dalle indagini su camorra e mafia al terrorismo politico.

Il giorno dell’ultima sentenza due degli imputati minori, Alfonso Galeota e Giulio Pirozzi furono attaccati mentre tornavano a Napoli. Ad Acerra, sull’A1, un’auto li speronò. Poi la sparatoria. Galeota fu ucciso, insieme ad Assunta Sarno, moglie di un altro condannano, il boss del rione Sanità Giuseppe Misso.

In tutte le inchieste comparve la loggia massonica P2 di Licio Gelli. Nell’Italia addestrata a dimenticare, chi ricorda queste cose, anche nel giorno delle vittime delle stragi?

Bologna era compatta nel 1974. Colpita, non impaurita. Venne il presidente Giovanni Leone, poi dimessosi per l’inchiesta sugli aerei Lockheed. Nel 1980 la città era divisa: i giovani di quello che era stato il Movimento del ’77, l’altra Bologna che contestava anche il potere rosso, furono tenuti a miglia fuori dalla piazza.

Tutti gli uomini di governo, guidato da un tremante Cossiga, furono fischiati. Contraltare agli applausi a Pertini e Imbeni. Nel 1984 la manifestazione fu anche allora imponente. Ma su tutto aleggiava un immenso deja vù e il senso di una compattezza che si sfilacciava. Come pure la sinistra nonostante l’effimera vittoria alle elezioni europee, sull’onda emotiva della morte di Enrico Berlinguer.

t.g.

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