Emanuele Catino è un piccolo imprenditore di Andria, provincia triangolare – la famosa Barletta Andria Trani – a nord di Bari. Fino al 13 dicembre 2010 la sua vita è fatta di edilizia, olive e vino. Oltre a un’insana passione per la politica, con dichiarate simpatie berlusconiane.

In quei giorni di avvicinamento alle forche caudine della fiducia alla Camera, il bravo Catino vuole dare una mano a Silvio. Legge preoccupato i titoli dei giornali: governo in bilico e caduta del premier ormai possibile. Tutta propaganda e inutili allarmismi, si convince, decidendo di dimostrare all’Italia intera quanto sia facile manovrare i media per raggiungere un certo obiettivo. Ed ecco il piano: inventare una bufala colossale anti Berlusconi spacciandola a un giornale particolarmente reattivo.

La storia è da noir delle Murge, il destinatario un attento Maurizio Belpietro che ascolta prima al telefono e poi di persona la grande rivelazione: qualcuno sta organizzando un attentato contro Fini, da tenersi in caso di sfiducia alla Camera e prima delle – probabili – elezioni anticipate. Scopo ultimo dell’azione: far ricadere la colpa (e l’onta) su Berlusconi assicurando a Fini&nuovi alleati il successo alle urne.

La storia piace a Belpietro, che però non la pubblica subito. Il governo ottiene la fiducia, Catino pensa di aver fallito la missione, ma la sorpresa arriva il 27 dicembre quando Libero spara l’inghippo, associandolo a ‘strane notizie’ di frequentazioni di una maitresse modenese da parte del presidente della Camera. Quanto al fattaccio pugliese, l’editoriale di Belpietro aggiunge dettagli mai forniti dallo stesso inventore della favola: “Non avevo detto che l’attentato sarebbe stato organizzato ad Andria – ha spiegato l’altra sera Catino ad Annozero –. Ero stupefatto, mi sembrava impossibile che il direttore avesse pubblicato tutto fidandosi solo delle mie parole. Perché mi aveva chiesto un riscontro con la fonte, ma io gli avevo spiegato che la soffiata arrivava dalla moglie dell’attentatore, una mia amante. Che non avrebbe mai parlato”.

Insomma un feuilleton in piena regola, con puntata bis. Chiede Roberto Pozzan all’imprenditore: ma Belpietro l’ha più risentito dopo la pubblicazione? Risposta: “Certo, e mi sono inventato pure che questa donna era stata picchiata dal marito, che era successo un macello. E lui, anche lì, non ha battuto ciglio. Tanto che a me la storia cominciava a sembrare perfino vera”.

Un tocco di realismo ce l’hanno messo i procuratori di Bari, Milano e Trani, che si sono concentrati sull’episodio. Bari, raccolto il fascicolo di Trani, ha deciso di archiviare, mentre a Milano, il pm Armando Spataro, ha chiesto una condanna per procurato allarme . Forse anche l’Ordine dei Giornalisti vorrà dire qualcosa sui doveri di verifica delle polpette avvelenate, mentre Catino spera di uscire indenne dalla sua fantastica avventura: “Volevo solo dimostrare quanto sia facile montare un caso giornalistico e ingenerare nell’opinione pubblica diffidenza, sconcerto e alle volte anche odio nei confronti di Berlusconi” ha spiegato il malcapitato.
Certo, per Belpietro, proprio un periodo sfortunato con gli attentatori d’accatto. Prima la guardia del corpo che organizza una finta sparatoria giusto davanti al portone di casa sua. Poi l’amico sconosciuto di Silvio che si rivolge proprio a lui per smascherare i tragici limiti del Libero arbitrio giornalistico. Un colpo che Belpietro ha subito rilanciato di sponda contro Fini: tiro da maestro, rimbalzo sul muso a parte.

Da Il Fatto Quotidiano del 7 maggio 2011

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