Gli “ultimi giapponesi” del nucleare. Sull’atomo il governo italiano e l’Enel sono irriducibili, come quel gruppetto di soldati nipponici nell’isola di Guam che, decine di anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, con i capelli bianchi e i fucili arrugginiti, ancora non sapevano della resa ed erano pronti a combattere per l’ultima battaglia. Se da un lato Silvio Berlusconi annuncia candidamente che il programma nucleare è solo rimandato per evitare l’impatto dei referendum, dall’altro Fulvio Conti, amministratore delegato dell’Enel, fa sapere che “sul nucleare la macchina non si ferma”: il progetto è sospeso in Italia, ma si continuerà a investire all’estero per migliorare le tecnologie.

Nel frattempo le politiche energetiche di molti stati europei sono in fase di ridiscussione e alcune grandi corporation sarebbero pronte a fare un passo indietro sul nucleare. Come il colosso tedesco dell’elettronica e delle infrastrutture Siemens, che all’inizio di aprile ha espresso i primi dubbi sull’alleanza con la compagnia Rosatom (controllata dal governo di Mosca) per lo sviluppo di nuove centrali in Russia. “Il problema principale rimane quello di trovare un modo per salvare la faccia alla Russia e a Peter Löscher (amministratore delegato di Siemens)”, ha dichiarato al Financial Times un dirigente del gruppo tedesco. Una decisione formale non è ancora stata presa, ma nella sostanza Siemens sarebbe pronta ad uscire dalla joint venture con i russi non appena le condizioni fossero favorevoli per entrambi i partner.

La frenata di Siemens avrebbe un forte significato simbolico anche perché, solo due anni fa, il colosso tedesco aveva deciso di abbandonare lo storico alleato francese Areva per passare con Mosca, con l’ambizione di diventare il “leader di mercato nell’energia nucleare”. Ora le cose sono cambiate e il “rinascimento nucleare” che Siemens pensava di realizzare sulla sponda russa rischia di essere bloccato prima ancora di iniziare a concretizzarsi.

Intanto in Germania il cancelliere Angela Merkel preme sull’acceleratore dell’Energiewende, l’attesa svolta energetica che traghetterà il paese fuori dall’atomo. Secondo quanto riportato martedì dal quotidiano economico Handelsblatt, il governo tedesco sarebbe pronto a fissare una data precisa per l’uscita dal nucleare. Horst Seehofer, segretario della Csu (l’Unione Cristiano Sociale che fa parte della coalizione di governo), parla espressamente del 2020, mentre la Merkel per il momento preferisce pensare a tutte le possibili soluzioni per colmare il buco – pari al 23% del fabbisogno energetico – che deriverebbe dalla dismissione di tutti e 17 gli impianti attualmente funzionanti nel paese. La ricetta – secondo quanto riporta Handelsblatt – sarebbe già stata elaborata: nuove centrali a gas in Baviera e Nordreno-Vestfalia, in prossimità di impianti industriali, e investimenti crescenti nelle energie rinnovabili.

Mentre la Germania si prepara a smantellare, l’Italia rimane aggrappata con tutte le forze al piano governativo sul nucleare e ai pochi progetti che Enel è riuscita a portare a casa negli ultimi anni. Come la centrale di Cernavodă in Romania, fiore all’occhiello di Ceauşescu. Concepita negli anni ottanta, Cernavodă è composta da cinque reattori, di cui solo due sono stati effettivamente completati: uno nel 1996 e uno nel 2007. Il progetto per il completamento della centrale è stato rilanciato nel novembre del 2008 dal governo rumeno attraverso il consorzio Energonuclear, che inizialmente comprendeva l’agenzia nucleare nazionale Nuclearelectrica e grandi imprese come ArcelorMittal, ČEZ, GDF Suez, Enel, Iberdrola e RWE. Poi poco a poco il consorzio si è sfaldato. Nel settembre del 2010 il gruppo ceco ČEZ ha annunciato l’uscita dal progetto, mentre il 20 gennaio del 2011 sono usciti i francesi di Gdf Suez, i tedeschi di Rwe e gli spagnoli Iberdrola, spiegando che “le incertezze economiche e del mercato che circondano il progetto, relative in gran parte alla crisi finanziaria, non sono conciliabili con gli investimenti richiesti per lo sviluppo di un nuovo impianto nucleare”. In poche parole il gioco non vale la candela: troppe le incognite, troppo elevati i costi. Ma nonostante tutto Enel ha deciso di restare, mantenendo la sua partecipazione del 9% nel consorzio assieme agli indiani di ArcelorMittal (6,2%) e all’agenzia di Stato. Una scelta coraggiosa, ma non isolata.

Sempre in Europa dell’est, a Mochovce (Slovacchia), Enel, che dal 2006 controlla con il 66% l’operatore elettrico slovacco Slovenské Elektràrne, è impegnata nella realizzazione di due nuovi reattori in un impianto di progettazione sovietica, approvato nel 1987. Il 13 gennaio di quest’anno il Comitato di Conformità della Convenzione di Aarhus delle Nazioni Unite sull’Accesso all’informazione e la partecipazione dei cittadini in materia ambientale, ha rilevato “un’inadeguata partecipazione e consultazione delle comunità locali nel processo di costruzione dei due nuovi reattori”, che avrebbe comportato la violazione della Convenzione da parte della Slovacchia. La raccomandazione del Comitato, se recepita dalla Commissione Europea, potrebbe comportare la sospensione del progetto in attesa dell’elaborazione di una nuova valutazione d’impatto ambientale. Per Enel si tratterebbe di un ulteriore ostacolo sul fronte della “rinascita” nucleare.

E infine c’è la Russia, dove a Kaliningrad la compagnia elettrica italiana sta completando uno studio di fattibilità per valutare una possibile partecipazione a una nuova centrale in collaborazione con Rosatom: il Baltic Nuclear Power Plant. Le autorità russe hanno chiesto ripetutamente alle corporation europee di partecipare al progetto, offrendo il 49% delle azioni. Alla fine nessuno ha manifestato un vero interesse. Nessuno tranne Enel. Che, “se ci saranno le condizioni tecnologiche e di mercato sarebbe felice di investire nel nucleare in Russia”. L’ha dichiarato l’ad Conti nel corso dell’ultima assemblea degli azionisti, ricordando il memorandum siglato con Rosatom. La stessa compagnia russa dalla quale Siemens starebbe cercando di staccarsi.

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