Bin Laden? Non l’avrei fatto morire così presto”. Parla “da sceneggiatore” Ascanio Celestini, ma tant’è: “La soap opera della guerra al terrorismo ha sprecato un protagonista, ma non è detta l’ultima parola: tra uno o due anni, alla 744esima puntata, scopriremo che in realtà non era morto”.

Impegnato al Teatro della Tosse di Genova con il nuovo spettacolo La fila indiana, il cantastorie, scrittore e regista butta un occhio, anzi due, sul mondo là fuori, tra Bin Laden e la Libia: “Stiamo giocando alla fiction, ma esiste una possibilità remota che sia tutto vero: dall’aereo sul Pentagono alla morte dello sceicco. Forse Obama aveva bisogno di credito, forse la guerra al terrore aveva un calo d’ascolti, e hanno buttato il carico: la morte di Bin Laden. Ma, soprattutto in una paese cattolico come il nostro, fa impressione la gioia per la morte di un individuo, mentre Wojtyla viene beatificato: chi tra politici e non solo s’è indignato?”.

Il problema, comunque, riguarda l’informazione: “Il crollo delle Torri, la morte di Bin Laden quasi tutti li abbiamo vissuti in tv e sui giornali: Bin Laden esiste, è mai esistito? Viviamo di narrazioni, anche il mio lavoro ci campa, ma c’è una differenza: la mia finalità non è dire la verità, ma la concretezza del racconto. Il teatro, lo schermo, la pagina sono mediazioni palesi, filtri, viceversa, leggo il giornale e mi trovo dentro a un evento o, almeno, ne ho l’impressione”.

Ebbene sì, Ascanio ne ha una anche per Berlusconi: “Sia lui che Bersani devono affascinare, fare discorsi seduttivi per vendere il prodotto: Pdl o Pd. Non è un racconto di verità il loro, ma pubblicità, stratagemma per vendere: come la donna nuda usata per vendere la colla, è un passo avanti rispetto alla propaganda. E’ un significativo slittamento, e B. lo sa fare in modo straordinario: piuttosto che un discorso, per essere seduttivo racconta una barzelletta comprensibile a tutti. Se la verità fosse semplice, la racconterebbe”. Al contrario, ci ritroviamo con le sue barzellette, mentre della – supposta – fine di Bin Laden “abbiamo solo le foto di Obama e della Clinton che guardano le immagini di Osama o presunte tali: un controcampo, un piano d’ascolto funzionale, ma folle”.

Non finisce qui. Mentre nelle sale (l’11 maggio con Eagle) sta per arrivare Uomini senza legge di Rachid Bouchareb, affresco formato famiglia dell’indipendenza algerina, Celestini guarda a Gheddafi – “Un comprimario della fiction globale” – e si interroga: “Può essere che di una guerra così importante nessuno sappia i nomi dei leader, ammesso ci siano? Ma il punto non è nemmeno questo: la situazione stigmatizza la povertà della sinistra italiana, senza prospettive, senza ideologia, senza visione del mondo. Il Pd dice: “Noi siamo più onesti”, l’Idv incalza: “Noi siamo quelli onesti”, ma ci si può costruire da 15 anni la campagna elettorale? E che dire di Renzi, che il 1° maggio lascia aperti i negozi: un’opportunità economica, appunto, ma lo pensa un capitalista, non un uomo di sinistra. Manca una visione del mondo, anche nella guerra in Libia si sta a vedere come va…”.

Dunque? La conclusione di Celestini forse non rispetta la par condicio, ma i dolori son per tutti: “Se possiamo attribuire la colpa alla destra, la responsabilità è della sinistra: non sa più vedere il mondo, perché ha accettato la fine dell’ideologia”.

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