Molte cose sono poco chiare, e lo resteranno ancora a lungo, nell’attacco delle forze speciali statunitensi che ha portato alla liquidazione del grande vecchio del terrorismo fondamentalista di matrice islamica, Osama Bin Laden. Neanche è sicuro che Bin Laden sia stato effettivamente fatto fuori e dobbiamo credere “sulla fiducia” alle dichiarazioni di Obama, il quale, in evidente crisi di consenso per la gestione deludente della crisi economica e finanziaria e il protrarsi delle guerre in Iraq, Afghanistan e Libia, ha giocato la carta della soppressione dell’odiato nemico, d’accordo con gli apparati, come la Cia ed altri, cui appare sempre più manifestamente subalterno.

Osama Bin Laden, del resto, nasce come rampollo di una ricca famiglia di costruttori edili sauditi e diventa presto una creatura degli Stati Uniti nella guerra all’intervento sovietico dell’Afghanistan, e solo in un secondo momento decide di “mettersi in proprio” sotto le bandiere del fondamentalismo islamico, dando voce alle frustrazioni del ceto professionale elevato arabo e islamico stanco di giocare esclusivamente il ruolo di marionetta di Washington.

Colpisce il fatto che la sua liquidazione fisica sia successiva alla sconfitta politica, che non è conseguita certo alle guerre in Afghanistan e in Iraq, che anzi l’hanno rafforzato, quanto alla maturazione politica democratica dei popoli arabi che ha avuto finora la sua massima espressione nelle rivoluzioni tunisina ed egiziana.

Prima di essere fisicamente soppresso (sempre che lo sia stato) dai navy seals Bin Laden era quindi già un cadavere ambulante dal punto di vista politico: si può quindi pensare che sia stato eliminato quando gli Stati Uniti ne avevano tratto il massimo profitto politico, prima come loro alleato decisivo nella guerra ai sovietici in Afghanistan, poi come nemico su cui far convergere le forze giustificando le guerre e il rilancio della posizione egemonica degli Stati Uniti nel mondo. Paradossalmente Bin Laden è stato più utile agli Stati Uniti nella seconda di queste vesti e, infatti, è stato lasciato in vita finché ha fatto comodo che svolgesse il suo ruolo di capo terrorista.

Non piangerò certo alcuna lacrima in sua memoria, specie pensando alle oltre tremila vittime innocenti delle Torri Gemelle. Ma colpisce il modo assolutamente barbaro in cui è stato soppresso, se di lui si tratta, nel qual caso probabilmente si è voluto anche mettere a tacere per sempre un testimone potenzialmente molto scomodo per l’Impero. Così come colpiscono le oscene manifestazioni di giubilo che hanno avuto luogo negli Stati Uniti, che rappresentano il pendant di quelle, altrettanto oscene, con cui le masse arabe e islamiche hanno, in alcuni casi, salutato l’attentato alle Torri.

Colpi di coda del terrorismo islamico sono sempre possibili, ma è ad ogni modo evidente che il fondamentalismo ha concluso la sua parabola politica. E’ tempo quindi di smantellare gli insulsi apparati di morte che occupano ancora l’Iraq e, con la partecipazione italiana, l’Afghanistan e dare una soluzione pacifica, basata sul negoziato politico, alla crisi libica. E’ tempo altresì che il terrorismo sia definitivamente abbandonato come strumento politico, anche da parte degli Stati Uniti, che invece, come ho ricordato su questo blog, se ne sono avvalsi anche di recente per soffocare esperienze alternative come quella cubana.

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