La pericolosità sociale di chi soffre di disagi psichici è un classico caso di procurato allarme. La paura crea mostri e da sempre, e soprattutto ultimamente, grazie all’enorme potenza dei media, può diventare leva di manipolazione per la costruzione del consenso a basso grado di razionalità. L’impasse della ragione è sempre orfana dell’analisi di realtà e dei dati epidemiologici.

Per potersi fare un’opinione possibilmente realistica sui fatti, ho chiesto aiuto a un epidemiologo e psichiatra dell’Istituto Mario Negri di Milano, il dott. Angelo Barbato, che ha passato in rassegna le principali ricerche recenti su questo tema, giungendo a conclusioni molto interessanti, racchiuse in una relazione dal titolo (non casuale): Violenza e disturbi mentali: allarme e realtà.

Eccone i punti salienti:
– I disturbi mentali accrescono leggermente la probabilità di condotte violente (la probabilità è più elevata per alcuni gruppi diagnostici)
– La grande maggioranza delle persone con disturbi mentali non assume mai condotte violente
– La diagnosi psichiatrica in sé non è un fattore di rischio per le condotte violente
– L’apporto delle persone con disturbi mentali al tasso di violenza nella società non è significativo
– La probabilità di atti violenti aumenta con fattori quali l’uso di droga e condizioni ambientali sfavorevoli (scarsa assistenza, problematiche sociali, violenze subite, etc.)
– La predittività delle diagnosi psichiatriche non è significativa essendo troppi gli errori positivi.
– Piuttosto, sono i pazienti psichiatrici che spesso subiscono violenze nelle istituzioni talora inadeguate (dove vengono generalmente parcheggiati in assenza di progetti di cura, ndr).
– In Italia il tasso di violenza nei servizi psichiatrici è basso in rapporto agli altri paesi europei

Le conclusioni del Dott. Barbato sono note da sempre, su base esperenziale, agli addetti ai lavori. Generalmente se la qualità delle cure è buona, non è necessaria la polizia in assetto antisommossa per fermare la follia che avanza (la follia di chi, mi domando…).

Del resto, è anche a partire da questa evidenza che si rese necessaria la Legge 180 (come racconta in questo video il Prof. Bruno Orsini, psichiatra e relatore della legge Basaglia), nel superamento di una vecchia legge del 1904 arcaica e a-scientifica che proprio sul concetto di pericolosità sociale del malato di mente, indebitamente allargato a dismisura, fondava il suo senso e consenso.

Allora qual è l’esatta misura della pericolosità sociale psichiatrica? 1500 circa è il numero dei pazienti attualmente rinchiusi negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari italiani, coloro cioè con atti criminali alle spalle. Un numero irrisorio sia rispetto a tutta la popolazione psichiatrica grave (non contiamo nemmeno tutta la popolazione con disagio), ma anche rispetto alla popolazione criminale complessiva. Tale numero non giustificherebbe dunque, se non in chiave strumentale, alcun allarme sociale. Insomma, la propensione al crimine non è un dato specifico della popolazione psichiatrica.

Va anche detto che quei 1500 reclusi se la passano davvero male, come testimoniato su questo sito, confermando il fatto che questo genere di strutture, così come sono concepite ed allestite nella gran parte, sono delle incivili ed infernali pattumiere sociali del tutto inutili e dannose.

Rimane da capire cosa sia diventata oggi la pericolosità sociale. Non v’è dubbio che le ultime trasformazioni socio-politiche, con l’indebolimento dei legami sociali, l’allentamento della percezione del bene comune e l’aumento dell’avidità, imporrebbero una profonda revisione critica di questo concetto. Certo, il paranoico non curato che diventa violento o addirittura assassino esisterà sempre, purtroppo, e a lui rimane il primato, se vogliamo anche espiatorio, della pericolosità. Ma al di là di questi casi estremi, per comprendere tutte le altre forme e sfumature della odierna pericolosità sociale temo proprio che non è più nella classica psicopatologia psichiatrica che dovremmo andare a cercare.

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