Giovanni Brusca, ex boss di San Giuseppe Jato, ha azionato il radiocomando della strage di Capaci. Da tempo è collaboratore di giustizia

Nell’aula bunker di Firenze si riprende a parlare di trattativa tra Stato e mafia. Tra i nomi coinvolti, quelli di Silvio Berlusconi e dell’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino. “Il premier sia sentito in Commissione antimafia” è la richiesta di Walter Veltroni, dopo la testimonianza all’udienza di oggi del processo per la strage dei Georgofili del 1993. A parlare è Giovanni Brusca, ex boss di San Giuseppe Jato, la mano che ha azionato il radiocomando della strage di Capaci e da tempo collaboratore di giustizia. Brusca ha discusso del ‘papello‘ con le richieste della criminalità organizzata allo Stato, in cambio della fine delle stragi. Un ricatto che avrebbe avuto, ha raccontato oggi Brusca, come committente finale l’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino, ex vicepresidente del Csm. “Si sono fatti sotto” avrebbe raccontato Totò Riina a Brusca. “Si sono rappresentati Dell’Utri e Ciancimino che gli volevano portare la Lega – ha aggiunto il collaboratore – e un altro soggetto”. Insieme ai contatti con i carabinieri e con “non meglio specificati politici” che sarebbero stati avvicinati dopo l’estate 1992.

E’ la prima volta che Brusca fa il nome di Mancino in pubblico, dopo averne discusso nei colloqui del 2001 con il pm fiorentino e in quelli con i magistrati palermitani. “Se Riina ha fatto il mio nome – ha risposto l’ex vicepresidente del Csm – è perché da ministro dell’Interno ho sempre sollecitato il suo arresto, e l’ho ottenuto”. Dell’Utri e Ciancimino non sarebbero invece mai stati citati per “evitare strumentalizzazioni”. Ma il nome del senatore siciliano, insieme a quello del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, chiarisce Brusca, “non c’entrano niente con le stragi”. Sarebbero però stati contattati come referenti politici per far circolare le richieste della mafia. Alla fine del 1993, attraverso Leoluca Bagarella, racconta Brusca, “ho chiamato Vittorio Mangano (uomo di Cosa Nostra e stalliere di Berlusconi, ndr) per contattare Dell’Utri e Berlusconi – racconta il collaboratore di giustizia – Se loro non avessero accettato noi avremmo continuato con gli attentati, avremmo continuato a mettere bombe”, ha spiegato il collaboratore. E Dell’Utri avrebbe risposto: “Mi metto a disposizione e vi ringrazio”. Un contatto con il futuro premier “bloccato con l’arresto di Mangano” però, ha chiarito il pentito. Ma gli uomini d’onore, specifica Brusca, avevano rapporti anche con esponenti di sinistra, politici locali come Salvo Lima e nazionali come Giulio Andreotti.

“La commissione Antimafia, che ricostruisce i fatti tra il ’93 e il ’94, dovrà ascoltare Berlusconi. – è la richiesta che Walter Veltroni rivolge al presidente della commissione Antimafia Giuseppe Pisanu dopo le dichiarazioni del pentito – E’ urgente e necessario capire se è stato contattato attraverso persone, da chi è stato contattato, con quali richieste e in quali circostanze”. Insieme al premier, secondo Veltroni, potrebbero “dare elementi di conoscenza” anche Dell’Utri e Andreotti, “compatibilmente con le sue condizioni di salute”.

Referenti politici e militari quindi. Tutti soggetti che però, ricostruisce il collaboratore, avrebbero bocciato le proposte di contrattazione dei boss perché troppo “esose” . Un ricatto allo Stato nato come reazione al maxiprocesso e non al regime 41 bis come spesso si è detto finora. Il carcere duro per i mafiosi “era un fatto momentaneo, entrato in corso d’opera”. “Non c’è più nessuno”, diceva Riina a Brusca. Così le stragi del 1993, ha aggiunto il collaboratore, servivano “a far tornare lo Stato o chi per esso a trattare”.

In un primo momento il piano del boss era quello di uccidere anche “alcune guardie giurate” nelle carceri, agenti che era ritenuti colpevoli dei maltrattamenti agli uomini d’onore detenuti. Poi si pensò anche ad “azioni dimostrative”, come ad esempio, ha ricordato Brusca, “il posizionamento di una bomba a mano nei Giardini di Boboli a Firenze”, fino ad arrivare alla decisione di colpire “anche le opere d’arte”. Tra gli attentati progettati e non messi in atto, racconta ancora Brusca, c’era quello contro l’attuale procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, mentre l’uccisione dell’onorevole Salvo Lima il 20 marzo del 1992 fu decisa perché il parlamentare democristiano – di solito “sempre disponibile, con lui potevamo contare su favori e accomodamenti” ha raccontato Brusca -“non si era messo a disposizione per il maxi processo”. A lungo progettata anche la strage di Capaci. Secondo Brusca, “la volontà di uccidere Falcone non fu presa nel1992, ma molto prima anche se più volte rinviata nel tempo: ci fu il mancato attentato all’Addaura, e poi ci sono stati più tentativi di ucciderlo”.

Dopo la testimonianza di Giovanni Brusca, il prossimo 5 maggio verranno sentiti i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, collegati in videoconferenza per ragioni di sicurezza.

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