“L’applicazione della prescrizione non è una misura compatibile con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo nei casi in cui ha l’effetto di impedire la punizione del colpevole”. Questo è l’importante principio affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza relativa al caso Alikaj e altri contro Italia (ricorso n. 47357/08) depositata il 29 marzo 2011.

Siamo ormai storditi dalle continue affermazioni dei politici (spesso anche difensori di indagati eccellenti o indagati essi stessi) – che cercano di convincerci, in base al principio “meglio 100 criminali liberi che un innocente in galera”, che sia giusta ogni forma di inutile iper-garantismo, anche se non giova affatto all’accertamento della verità storica – che ormai ci sembra normale negare giustizia ad una vittima di reato, semplicemente se è passato del tempo. In questo infatti consiste l’istituto della prescrizione, che “uccide” il processo penale se non viene concluso in un certo lasso di tempo (ipotesi quasi impossibile per alcuni reati, almeno nello stato di fatto della giustizia penale italiana). Ma in questa dinamica è evidente che la persona che ha subito il reato finisce per essere doppiamente lesa, a causa della giustizia negata.

Oggi, finalmente, la Corte europea dei diritti dell’uomo ci richiama alla Convenzione stipulata a Roma 60 anni fa, dandoci un grande insegnamento: la prescrizione, se impedisce la punizione del colpevole, lede i diritti delle vittime di reato. Infatti, se è certamente giusto che il processo abbia una durata ragionevole (l’eccessiva durata dei processi è anch’essa una violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo), la soluzione di “eliminare” il processo è probabilmente sproporzionata allo scopo, finendo con il rendere una ulteriore ingiustizia alla persona offesa.

Questo meccanismo, inoltre, ha indubbiamente alimentato negli ultimi anni la corsa a ridurre in via legislativa i termini di prescrizione, facendo così “cadere” processi in corso, anche a carico di eccellenti imputati. Ma tutto questo era davvero funzionale alla Giustizia? Sono profondamento convinto che i meccanismi processuali, così come le garanzie per gli imputati, debbano mantenere la propria funzione “servente” rispetto all’accertamento della verità storica, e non ostacolarla. Per fortuna che, di tanto in tanto, ce lo ricorda qualche sentenza della Corte di Strasburgo.

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