Pubblichiamo “Il cerchio si stringe”, un capitolo estratto dal libro di Leo Sisti “Caccia a Bin Laden” (Baldini Castoldi Dalai Editore, 2004). Qui di seguito il commento audio di Sisti alla cattura.

L’uccisione di Osama Bin Laden, l’analisi di Leo Sisti by ilfattoquotidiano.it

“A Langley, nella sede della Cia, in gergo lo chiamano ‘The Big Catch’, la grossa preda. Alla ‘Farm’, la fattoria, come viene soprannominato il quartier generale degli spioni, la preda è Osama Bin Laden. Non dal 2001, ma da almeno cinque anni prima. Nella primavera del 2004 sembra proprio che la cattura del ricco terrorista saudita sia cosa fatta. Specialmente a marzo, quando i giornalisti del New York Times e del Washington Post raccontano che Bin Laden è stato avvistato nelle montagne del Waziristan, le zone tribali del Pakistan, e che è vicina la resa dei conti anche per il suo vice, il medico egiziano Ayman Zawahiri. Si sbagliano. Per ora niente ‘Big Catch’: sarà per un’altra volta.

La storia della caccia a Osama Bin Laden è costellata da tanti episodi e da un clamoroso insuccesso. Dimostra che gli americani ci mettono un bel po’ a capire chi è Bin Laden. Leggerezza e sottovalutazione hanno condotto al fallimento un tentativo che avrebbe potuto essere decisivo. È il giornalista del Washington Post Steve Coll a svelare per primo nel libro ‘Ghost wars’ i retroscena di un fiasco che vede sul banco degli imputati l’ex presidente Bill Clinton, attaccato dalla Cia per la sua indecisione.

La ‘Bin Laden issue unit’, l’unità Bin Laden, viene creata ai primi del 1996, quando lo ‘sceicco del terrore’ è già sotto osservazione in Sudan, dove lo tiene d’occhio Cofer Black, distaccato dalla Farm a Kartum proprio per questo. Poi l’ambasciata americana là viene chiusa per ragioni di sicurezza. E si riparte da zero, anche perché Bin Laden, espulso dal Sudan nella primavera del ’96, si rifugia in Afganistan. Di qui, siamo nel ’97, riprende la sua campagna contro gli americani: fax, interviste televisive, pamphlet. Di colpo l’unità Bin Laden risorge. A Langley si vorrebbe ricorrere ad agenti da dislocare in Afganistan, sfruttando una rete già allestita in precedenza per un altro caso. Nome in codice di questa squadra, tutti afgani, piazzata a Kandahar: Fd/Trodpint. Compito: raccogliere notizie su Bin Laden e mandare memorandum su di lui negli Stati Uniti.

Da una semplice situazione di monitoraggio si passa però presto a un’altra fase. Clinton approva il progetto: prendere Osama Bin Laden, trasferirlo in America e processarlo. Da questo momento, siamo alla fine del ’97, entra nel vivo il nuovo piano della Cia. Scrive Coll: ‘La caccia a Osama Bin Laden era formalmente iniziata: sarà lunga e frustrante’. Già, perché in alcune occasioni le proposte che vengono avanzate non fanno grandi passi in avanti: a volte rigettate dai vertici di Langley, altre volte dai consulenti di Clinton, ‘super prudenti, ossessionati dagli aspetti legali dell’operazione e contrari ad assumere rischi politici in Afganistan dove si trattava di armare i nemici afgani di Bin Laden e scontrarsi con i talebani’.

All’inizio del ’98 il Gran giurì di New York apre un’inchiesta segreta sull’attività finanziaria di Bin Laden offrendo così un appiglio giuridico alla manovra. In base all’executive order numero 12333, firmato dal presidente Ronald Reagan nel 1981, ma confermato dai suoi successori, è possibile ora sequestrare chi è responsabile di reati in America e trascinarlo in tribunale. Scatta una nuova parola d’ordine. Bin Laden può essere rapito, ma dev’essere catturato vivo: secondo le norme dell’executive order 12333, l’assassinio, da parte della Cia, è vietato. Non rimane che procedere, dando via libera agli uomini del Trodpint. L’idea è di tenere segregato Bin Laden in una grotta in Afganistan per trenta giorni in attesa che arrivino le forze speciali americane per trasferirlo negli Usa.

Nella primavera del 1998 un colpo di fortuna sembra arridere alla Cia. Bin Laden, chiacchierando sul suo telefono satellitare con una delle mogli, viene individuato in un luogo a cinque chilometri dall’aeroporto di Kandahar. Il compound di Tarnak, questo il nome, viene fotografato dai satelliti. Solo che lì vivono donne e bambini. E se durante l’assalto ci scappassero morti e feriti tra i civili? Brutto guaio. Richard Clarke, il coordinatore dell’antiterrorismo presso Bill Clinton, ne discute a Langley. La Casa Bianca diventa scettica: troppe le incognite. In caso di massacro ne andrebbero di mezzo i rapporti con il mondo musulmano.

Nel giugno 1998 i dettagli del raid vengono riesaminati. Ma nei piani alti della Cia e alla Casa Bianca regna lo scetticismo. Chi invece ha messo a punto il blitz su Tarnak mugugna e preme per una svolta. Ma il 7 agosto, due mesi dopo quella riunione, accade il fattaccio. Due gruppi di Al Qaeda attaccano simultaneamente a suon di bombe le ambasciate americane a Nairobi e Dar-es-Salaam provocando 224 morti e centinaia di feriti. Un’analista dell’unità Bin Laden della Cia, una donna, affronta piangendo il suo direttore George Tenet e lo accusa: ‘Lei è responsabile di quelle morti, perché non ha agito sulla base delle informazioni che avevamo: avremmo potuto agguantarlo’.

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