Il numero uno della Cia, Leon Panetta

“Con l’uccisione di Bin Laden il mondo sarà un posto più sicuro”. Un’opinione a dir poco isolata quella del presidente del Parlamento europeo Jerzy Buzek che ha commentato così l’uccisione del principe del terrore. Da Bruxelles a New York le dichiarazioni su una possibile reazione di al Quaeda alla morte del proprio leader sono di tutt’altro tenore: dal numero uno della Cia, Leon Panetta fino capo dell’antiterrorismo dell’Unione europea Gilles de Kerchove. Se il responsabile dell’intelligence americana dice che “quasi certamente” al Quaeda tenterà di vendicare la morte di Osama, de Kerchove sottolinea che a preoccupare il controspionaggio europeo sono le azioni di singoli simpatizzanti jihadisti rispetto a quelle di gruppi organizzati. E infatti la minaccia dell’imam salafita Al-Bakri non ha tardato ad arrivare: il network del fondamentalismo “si vendicherà in Europa”.

Quello di cui tutti sono convinti, dagli imam ai capi dei servizi segreti occidentali, è che il jihad (la guerra santa) non si fermerà per la morte di una persona. Anche se quella persona si chiama Osama bin Laden.

Comunque sia la parola d’ordine delle cancellerie di tutto il mondo è rafforzare i controlli e le misure di sicurezza per prevenire le molto probabili reazioni di gruppi o singoli fondamentalisti. In Italia sono state potenziate le misure di sicurezza sugli obiettivi sensibili di Stati Uniti e Pakistan. Lo ha deciso il Comitato di analisi strategica antiterrorismo che ha diramato una circolare indirizzata ai prefetti e ai questori.

La morte di Osama “indebolirà ulteriormente il nucleo di Al Qaeda, le cui capacità operative sono già state ridotte. Ma non è finita, dobbiamo continuare i nostri sforzi”, ha ammonito de Kerchove, ricordando che l’organizzazione era dietro il piano terroristico sventato la settimana scorsa in Germania e che “i gruppi affiliati restano attivi”, come dimostrato dall’attentato del 28 aprile in Marocco. Il capo dell’antiterrorismo europeo ha sottolineato come il primo obiettivo siano “gli americani e i pachistani”, ma ha anche aggiunto come “nel mirino ci siamo tutti noi, per questo nelle prossime settimane dovremo restare vigili”.

Anche Hillary Clinton, capo del Dipartimento di Stato americano ha rimarcato come la lotta contro il terrorismo internazionale sia tutt’altro che vinta. “La battaglia per fermare al Qaeda non è finita con la morte di bin Laden”, ha detto il capo della diplomazia americana che ha invitato la comunità internazionale a raddoppiare gli sforzi nella guerra contro il terrore.

Dalla parte del fondamentalismo le reazioni non sono tardate ad arrivare. I talebani pakistani hanno minacciato attacchi contro Pakistan e Stati Uniti come rappresaglia. “Se è stato martirizzato, vendicheremo la sua morte e lanceremo attacchi contro i governi americano e pakistano e le loro forze di sicurezza”, ha avvertito il portavoce Ehsanullah Ehsan. Se i taliban se la prendono soprattutto con i due paesi “protagonisti” dell’uccisione di Osama, da Tripoli (città libanese omonima della capitale della Libia), l’imam Al-Bakri ha minacciato anche le città europee. Citato dall’edizione online del quotidiano al-Quds al-Arabi, l’esponente musulmano ha detto che a suo parere “ci saranno presto reazioni in Europa, ci saranno attentati con molti morti per vendicare lo sceicco Osama”.

Nel frattempo i servizi segreti di mezzo mondo si interrogano su chi prenderà il posto di Osama ai vertici del network del terrore, alla luce del fatto che, come ammesso dallo stesso Al-Bakri, “la morte di Bin Laden provocherà dei cambiamenti in al-Qaeda”. Ma soprattutto la domanda è se Obama fosse rimasto solo una figura simbolica, una sorta di “padre nobile”, o al contrario se avesse ancora dei ruoli operativi e di indirizzo all’interno dell’organizzazione.

Fonti quaediste hanno fatto sapere che nel frattempo la leadership del network sarà assunta dalla “shura”, che in arabo vuole dire consiglio, composto da una nuova leva di comandanti, tra cui Sirajuddin Haqqani, Qari Ziaur Rahman, Nazir Ahmad e Ilyas Kashmir. Oltre, naturalmente, ad Ayman al-Zawahiri, il medico egiziano sul quale, già da tempo, gravava il compito dell’organizzazione della della rete operativa. “Ayman e’ per Bin Laden come il cervello per il corpo”: cosi’ un avvocato di al-Zawahiri, Montasser al-Zayat, descrisse l’eterno e altrettanto leggendario numero due di Al Qaeda.

Oltre al medico egiziano,tra i candidati alla guida spiccano anche altri nomi, tra cui il ‘delfino’ Saif al-Adel, comandante delle operazioni in Europa, il veterano del Kuwait, Sulaiman Abu Gaith, e lo stratega marocchino, Abu Hafiza.

Insomma gli scenari sono aperti e potrebbe succedere di tutto. Come ha detto il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, potrebbe consumarsi anche una lotta intestina all’interno di al Qaeda per la successione a Osama. Ma potrebbe anche succedere il contrario.

E’ bene ricordare l’estrema modernità del network, la cui struttura è in larga misura orizzontale, dove gruppi e singoli agiscono indipendentemente dai vertici dell’organizzazione. E gli avvertimenti di Panetta e de Kerchove fanno ancora più paura.

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