Alle nove e venti spunta un raggio di sole tra le nuvole. Un piccolo miracolo per chi ha passato l’intera nottata sotto la pioggerellina romana, nell’umido, sdraiati sui sanpietrini in attesa della beatificazione di Giovanni Paolo II. Centinaia di migliaia di pellegrini con bandiere di ogni paese, angolo sperduto, colori, stemmi, fazzoletti al collo, ricordi e commozione. Stanchezza, poca. Sono felici di stare a Roma, aspettavano questo momento, non gli interessa dei vincoli climatici, logistici o semplicemente fisiologici: i bagni sono pochissimi, le tante file sparse per ogni angolo attorno alla basilica, sono per conquistare i gabinetti di bar e ristoranti. C’è chi spinge una carrozzella, chi è provvisto di seggiolini, chi di sacco a pelo o di un cuscino. Chi cerca una boccetta d’acqua e chi deve fare i conti con l’età e gli acciacchi.

Poi i volontari, per loro un diktat curioso: non rispondere alle domande dei giornalisti. Il perché, impossibile saperlo. Molti i ragazzi, l’età media è bassa, sono cresciuti con lui, ognuno ha un suo ricordo particolare, un episodio al quale è legato: da quel grido, quel “convertitevi” del 1993 contro la mafia nella vallata di Agrigento, a lui che scherza coi bambini, improvvisa l’accento romano, fino ai funerali, alla veglia e Wojtyla al centro del sagrato adagiato con le scarpette rosse. “Era uomo. Lo sentivamo vicino, tra di noi. Ci sollecitava, spronava, ci ricordava di non aver paura” è il refrain comune.

Altra storia con Ratzinger. Sono passati più di 6 anni dal quel due aprile del 2005, quando alle 21:37 l’Ansa annunciò la morte di Giovanni Paolo II, sei anni durante i quali, Benedetto XVI non è riuscito a percorrere lo stesso cammino del suo predecessore. Se si chiede ai presenti un confronto tra i due, cala quasi un velo di imbarazzo, qualcuno si chiude dietro un “vabbè, quest’ultimo è più un uomo di cultura”, altri parlano di origini differenti “perché in fini dei conti  è tedesco e loro sono più distaccati per tradizione, sono un paese freddo”. Sarà ma anche la Polonia non nasce proprio sotto il segno del sole. Così questa beatificazione diventa un momento per ritrovarsi oltre il significato principale, diventa un appuntamento per ritrovare uno spirito perso, collettivo “uno spirito in qualche modo abbandonato – ci spiega una suora polacca – sì, li devo ammettere mi manca molto“.

Capitolo Polonia: sono tanti, tantissimi i connazionali di Karol Wojtyla. Il bianco e il rosso della loro bandiera troneggia ovunque, cantano insieme, pregano, si raccolgono in circolo. Alcuni piangono. Molti vivono in Italia o sono passati per lo Stivale, prima di trasferirsi altrove. “Ci ha fatto diventare grandi, ci ha restituito la libertà, ci ha protetto”, raccontano. “E’ stata la nostra guida. Anzi, lo sarà per sempre. Ratzinger? Non scherziamo, per carità è sempre il Papa, però…”. Però non suscita emozioni, non coinvolge. Eppure è “costretto”, primo nella millenaria storia della Chiesa a beatificare il suo predecessore.

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