Un fotogramma dal film "La terra trema" di Luchino ViscontiC’è una teoria molto accreditata, ma ancor di più discutibile, sull’inesorabile estinguersi del cinema che guarda al lavoro, ai temi sociali, alla relazione tra individuo e collettività. Nella nostra società, dicono, le distinzioni di classe vanno sempre più scomparendo, così risulta più difficile che qualcuno si trovi davanti a barriere insormontabili per il raggiungimento di un qualsiasi scopo o solo per guadagnarsi da mangiare. E senza ostacoli – basta sfogliare un manuale base di sceneggiatura – creare tensione drammatica diventa quasi impossibile. Tutto spiegato, pare.

Basta guardarsi intorno però per scoprire, nel nostro, il Paese degli impedimenti, degli impacci e degli impicci, delle complicazioni. Peggio, dell’immobilità. Altro che barriere. Nonostante ciò, il tema del lavoro, della sua mancanza innanzitutto, è troppo spesso contingente, una conseguenza più che una base da cui partire, l’idea o ancora meglio la necessità da cui far progredire il racconto. Non può non esserci una magagna in questa teoria.

Salvo rari, beati casi di pellicole più vispe, quello del lavoro è il posto in cui si scherza, dove qualcuno viene pure licenziato, ma tanto alla fine le cose che contano sono altre. In via generale sono moltissimi i film sul tema, meno quelli in cui riflessione e narrazione vengono ben bilanciate, pochissimi comunque quelli che hanno la forza di La terra trema (1948) di Luchino Visconti. Talmente rivoluzionario da rimanere isolato, assoluto. Un titolo cui è necessario avvicinarsi, da vedere nonostante le difficoltà derivate da un rigore che – attenzione – non guarda a nessuna élite, non ai cinefili, non agli intellettuali, ma a tutti.

Primo atto di un’ideale trilogia pensata per raccontare il mondo dei lavoratori siciliani – a quello dei pescatori sarebbero seguiti nelle intenzioni del cineasta gli episodi dedicati ai minatori nelle zolfatare e ai contadini che lottano per liberarsi dalla schiavitù –, l’Episodio del mare parla di conflitti e fatiche, di ingiustizie, sconfitte, impegno e afflizione. I Malavoglia secondo Visconti non stona di fronte ai monumenti realisti di Ejzenštejn, sì, proprio l’autore più temuto dagli impiegati sfigati di Fantozzi; per inciso, altro poderoso tassello di quel cinema di cui rimpiangiamo la mancanza. La terra trema è un’opera potentissima su uomini che lavorano, faticano e si disperano: la realtà fatta arte.

Il motivo stesso per cui il grande regista milanese girava film. E’ lui stesso a dirlo in Cinema antropomorfico: “Al cinema mi ha portato soprattutto l’impegno di raccontare storie di uomini vivi: di uomini vivi nelle cose, non le cose per se stesse. Il cinema che mi interessa è un cinema antropomorfico. Di tutti i compiti che mi spettano come regista, quello che più mi appassiona è dunque il lavoro con gli attori; materiale umano con il quale si costruiscono questi uomini nuovi, che, chiamati a viverla, generano una nuova realtà, la realtà dell’arte” (Lino Micciché, Luchino Visconti, Marsilio Editori, Venezia, 1996, p. 101).

In alto, un fotogramma del film La terra trema di Luchino Visconti. Per ingrandire clicca qui

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